C’è un passo di Alain Badiou (Trump o del fascismo democratico, Meltemi), che mi ha fatto molto riflettere sul concetto stesso di fake (e di fake news, ovviamente).

Proposte politiche che producono «la sembianza di una falsa novità, con un linguaggio diverso e una promessa falsa e violenta», perché «viviamo in un’epoca in cui le cose più vecchie al mondo – il ritorno alle religioni più marce e asfittiche, da una parte, e al capitalismo primitivo, colonialista, tiranneggiante, arrogante e incivile, dall’altra – vengono spacciate per novità, proprio per il fatto che sono varianti cadute nel dimenticatoio di quell’unica via che ci viene imposta come inevitabile», all’insegna del «non ci sono alternative». «Metamorfosi artificiali che cercano di venderci come nuove vecchie cianfrusaglie».

Come capirete, un’analisi un po’ più profonda del solito di ciò che sia «fake», più che false notizie, «false novità». Una prospettiva che rafforza un’iniziativa #antifa, dove l’abbreviazione fa pensare al fascismo eterno che si ripresenta sotto forme a volte nostalgiche, a volte inedite, ma anche al fanatismo e all’uso di falsificazioni e soprattutto falsità storico-politiche e a tutto ciò che portano con sé.

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