Mi chiedono: «quali sono le vostre proposte per i giovani?».

Rispondo: non abbiamo proposte per i giovani, abbiamo un progetto di società che li vuole liberare. Dal ricatto del precario (che fa rima con salario, da adeguare a un minimo legale), da un modello produttivo che si prepara allo schianto, da un paese che non investe in ricerca, da un paese che tentenna sulla conversione ecologica, da un paese che preferisce la cannabis mafiosa alla cannabis legale, da un paese che non riconosce i diritti per ragioni e spesso alibi religiosi, da un paese di furbi e di evasori, da un paese che investe e commercia più con le armi che con la pace, da un paese in cui la mobilità sociale è bloccata, da un paese in cui tutto è «flat», nel senso che le condizioni rimangono quelle di sempre, da un paese che dimentica di essere in Europa e di esercitare un ruolo, da un paese di benestanti sempre più ricchi a cui fa da contrappunto la maggioranza delle persone che rischia di scivolare più in basso.

Si vota domenica 4 marzo, ma lo sguardo deve correre più avanti, al 2030, almeno, alle prospettive per il futuro: per parlare ai giovani bisogna uscire dal «presente» che ossessiona tutti, che per molti è un carnevale di promesse irresponsabili, con sconti, bonus-lotteria, regalie, senza alcuna parola come investimenti, progressività e redistribuzione, di tempi più lunghi e scenari più ampi. Il presente dell’io, da una parte, e il futuro del noi, dall’altra.

Alle giovani e ai giovani italiani, diciamo «aboliamo le minchiate» e «ripristiniamo il futuro», all’insegna di un progetto per il quale, dalla crisi e dalla perdita di senso si esca tutte e tutti insieme.

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