Il Pd a guida renziana ha pensato che un populismo a bassa intensità potesse contrastare la destra e essere vincente sulla sua demagogia, assorbendo un po’ di destra. La destra è tutta in piedi, la demagogia lo è ancora e il centrosinistra è nei guai.

Così Bersani, ieri, ospite di Giovanni Floris.

Maurizio Viroli oggi sul Fatto arricchisce l’analisi con altri elementi: Viroli ha studiato il repubblicanesimo politico e di populisti ’storici’ ne ha incontrati parecchi.

Della cultura politica del partito del governo, Viroli segnala una certa qual mistica del capo («il populismo dall’alto» di cui parla anche Marco Revelli), il fastidio per il dissenso e per le minoranze interne (ormai esterne) da trattare con il «lanciafiamme», un proverbiale andazzo antipolitico (contro i politici, un’intera campagna referendaria, poi persa), la disintermediazione e la guerra a tutti i corpi intermedi, il disprezzo per le osservazioni degli intellettuali e le critiche dei professoroni e una buona dose di spudoratezza, con cui accompagnare il tutto.

«Manuale di populismo», dice Viroli, che aggiunge anche una riflessione di carattere politico, molto attuale, mentre al Senato si approva con fiducia e una maggioranza minima (150 voti) la «legge di Denis», nel senso di Verdini.

«“È Berlusconi il populista”, denuncia Renzi. Verissimo. Ma da quando Renzi è assurto alla popolarità, ha dimostrato una spiccata propensione a stringere accordi con Berlusconi, non a combatterlo».

Insomma, per contrastare i populismi la prima cosa da fare è cercare di non esserlo, di non mutuare parole e opere da loro e di non fare il populista. Chi si propone come «argine» del populismo, in realtà è «margine» di un populismo da cui non è affatto immune. Chi lo dice, in questo caso, sa di esserlo.

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