Così Annalisa Corrado, ieri:

Vedo foto di cruscotti impazziti, post di persone in ebollizione, faccio pochi passi per la città e mi sembra di aver scalato l’Everest…
Leggo di “ondate di calore anomale” e di acqua che non c’è…
Ecco, facciamo un gioco?
Ogni volta che in questi giorni pensiamo: “che caldo!” o anche “che arsura, non ha piovuto!”, ripetiamoci piuttosto, come in un mantra, le sagge parole di Di Caprio (che traggo liberamente):
«Non votate mai più per politici, ad ogni livello, che non prendano davvero sul serio i cambiamenti climatici e l’assoluta urgenza di fermarli, visto che sono già in atto!».

E quando boccheggiamo pensiamo a quante persone per via del caldo non hanno nulla da mangiare e da «migranti economici» si mettono in cammino. Non certo per colpa delle loro emissioni, ma delle nostre. Emissioni e omissioni.

Il punto è che la politica è provinciale, superficiale, piccola. Fenomeni di rilievo planetario diventano banali argomenti da bar, in cui ci si confronta da tifosi, inevitabilmente, con battute ad effetto basate quasi sempre su dati imprecisi o parziali. E si inizia tutti quanti a parlar male e a fare male, soprattutto.

E così a Trump che iniziava ogni comizio dicendo che sentiva freddo (altro che effetto serra!), corrisponde un dibattito nostrano che rimpicciolisce le questioni per affrontarle con invettive e sfoghi, mai con proposte e soluzioni.

E non è nemmeno questione di essere buoni (anche nella variante «buonisti», che dovrebbe essere un complimento), è questione di dire e fare cose che abbiano un senso.

Perché affrontare i cambiamenti climatici non è una scelta culturale di persone particolarmente sensibili, come spesso è rappresentata: è un’opzione che darebbe molto lavoro a tutti quanti, ridurrebbe sprechi e ci renderebbe più competitivi, soprattutto perché anche i nazionalisti più tetragoni devono rendersi conto che dal punto di vista energetico dipendiamo da tutti, sceicchi e regimi compresi.

Così come una strategia più seria sulle migrazioni, dovrebbe farci registrare che i problemi, come le persone, vengono da lontano. E spesso sono di nostra responsabilità diretta.

Così come una bomba in più venduta alle persone sbagliate, crea devastazione, morte e profughi, che scappano e vengono dove le bombe non cadono dagli aerei, ma offrono benessere e ricchezza a chi le produce.

Così come immaginare di affrontare da soli la questione delle migrazioni, tagliando i ponti con l’Europa e con tutto il resto del mondo, non ci aiuterebbe affatto.

Così come la lotta al traffico umano, comincia dalle nostre cucine e dai nostri campi e dalle nostre officine, dove il lavoro è sfruttato secondo logiche in cui è sovrana non solo la criminalità organizzata e la mafia, ma anche l’interesse economico più locale che ci sia e la connivenza e la collusione di tutti quelli che hanno un po’ di potere.

Questi processi sono interconnessi e se vogliamo affrontarli, dobbiamo farlo sapendo che le responsabilità non sono di questo o quel capro espiatorio, scelto alla bisogna. Perché anche se è partita la caccia alle streghe verso le organizzazioni non governative, le responsabilità sono governative eccome. E dipendono da come votiamo, fin dall’inizio. Ha proprio ragione Di Caprio.

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