Mentre si torna a parlare di missioni militari, si ‘festeggia’ il record nell’esportazione degli armamenti, si tradisce la Costituzione e la stessa legge italiana (185/90) nel fornire armi ai paesi che non rispettano i diritti umani e sono in guerra tra loro (e contro le popolazioni civili, inermi), si continuano ad acquistare aerei e navi militari costosissimi, vale la pena di riprendere un adagio erasmiano (recentemente ripubblicato da Feltrinelli, che ne raccoglie quattro sotto il titolo dell’ultimo ‘proverbio’ della silloge, Dolce è la guerra per chi non ne ha esperienza).

La «grande pazzia» della guerra, che ha «un che di animalesco e bestiale» e che ha pesanti ricadute politiche, perché «durante uno stato di guerra tutto il potere passa in mano di pochi», dice Erasmo.

Ovviamente le motivazioni di cui si va a caccia sono innumerevoli e la politica trova sempre una ragione. Sempre Erasmo: «il passo successivo è quello di imbellettare questa peste di decorose motivazioni». Motivazioni che sono politiche, mentre il pacifismo non lo sarebbe più, confinato a un’area culturale, all’utopia, fuori dalla politica, come se non fosse un’opzione. E così le guerre si moltiplicano e da più parti ci si augura che sia più facile armarsi, difendersi e soprattutto farsi giustizia da soli. E si difende l’industria delle armi, in un crescendo per il quale tutti sono invitati ad armarsi di più.

Con la conseguenza che all’insegna dell’infelice motto «aiutiamoli a casa loro», sono soprattutto i dittatori ad essere aiutati a casa loro, nelle loro regge bunker, con le loro milizie armate di tutto punto, con gli interessi di qualche multinazionale occidentale a sostenere un sistema corrotto e guerrafondaio (perché guerra e corruzione sono sorelle). Aiutati da noi, dai nostri interessi economici (quelli immediati, perché le conseguenze economiche e sociali di certe scelte non sono mai computate), ai quali sacrifichiamo quasi tutto, a cominciare dai diritti umani.

Mentre ci preoccupiamo giustamente (e tardivamente) del livello del lago di Bracciano, perdiamo di vista le grandi siccità provocate anche dai cambiamenti climatici (che siamo noi a provocare), che portano a migrare. Se approfondissimo e cercassimo informazioni più dettagliate scopriremmo che la linea della fame e della desertificazione coincide con quella delle guerre, delle razzie e quindi della presenza di milioni di profughi di cui soltanto una piccola parte prende la via dell’Europa. Agli altri rimane la via della sete e della miseria.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti