Dario Franceschini oggi rilancia lo schema del Nazareno per arrivare alla seconda legge elettorale della legislatura.

Forse qualcuno ricorderà che l’hanno già fatta, la legge elettorale con Berlusconi, dichiarata poi incostituzionale. Ma squadra che vince (e convince) non si cambia. Quando la qualità è alta e lo schema disinteressato, perché cambiare modello?

Il passaggio saliente dell’intervista però è un altro, quando il ministro dei governi di larghe intese Letta, Renzi e Gentiloni dice: «Il Pd la sua parte l’ha fatta: con le estreme ha chiuso».

Ora, lo schema è macronista (e anche marconista, nel senso delle onde radio): cerca di collegarsi al risultato francese, all’insegna del tipico provincialismo della nostra politica.

Il Pd ha certo chiuso con le estreme e il sentimento è reciproco. Non in ragione di una scelta politica, ma di ciò che è accaduto in questi anni.

Il punto è che il Pd ha chiuso anche con forze che sostenevano (e hanno cercato di sostenere, nonostante il Pd) il programma del 2013. Quello sottoscritto da Franceschini (e anche da quelle che ora chiama «estreme») e ribaltato in questi anni. Il Pd ha, dunque, chiuso con se stesso e con la propria storia, non con strampalati rivoluzionari, ma con chi ha sottoscritto quel programma.

Come si comprenderà l’estremismo è tutto nella posizione del partito del governo e, ovviamente, anche nei modi e nelle scelte del suo leader. Che trova naturale appellarsi a Silvio – trattato come un padre costituente e della patria – e prendere con nettezza, quasi con fastidio (nemmeno fosse Salvini), le distanze da Nicola Fratoianni, già coordinatore di quel partito che si presentò alle elezioni con Bersani.

Del resto Macron è un candidato di centro e chi ha voluto leggere qualcosa di suo scoprirà che guarda più a destra che a sinistra. E a sinistra ne ha due, di soggetti. Nemmeno uno solo. Per tenere a debita distanza gli estremi. E anche quelli a metà strada, perché non si sa mai.

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