Dopo il teatro (Brancaccio) e la piazza (Santi Apostoli) è venuto il momento di incontrarsi a metà strada, che i due siti non sono poi così lontani.

Ci si vede a Monti (nel senso del rione) e si inizia a lavorare insieme.

Non c’è motivo di continuare a rimpallarsi appelli e accuse, di diffidare gli uni degli altri. Non è con le filippiche che si costruisce una proposta politica.

Il Bersani di ieri può interloquire con Possibile, con Sinistra italiana e anche con chi fa parte dei movimenti. Il renzismo lo fa sembrare più radicale, certo, ma non solo di questo si tratta: la sua proposta si è radicalizzata, come da me da un secolo auspicato, perché il mondo è guasto e la società non regge più. E si fa tesoro di errori e di incertezze. Lo stesso mi pare di poterlo dire per buona parte di Mdp.

Manca alle sue, loro parole uno sguardo sul futuro, sulla transizione e sulle trasformazioni, ma ci si può e ci si deve parlare, senza fare i primi della classe, né noi, né loro, diciamo così.

Per fare la sinistra e l’unità, ci vuole autonomia, dicevamo. E per la prima volta ieri si è parlato di netta discontinuità, di alternativa e di distanza. Ci vogliono parole chiare, e ieri Pisapia ha parlato (in quel suo modo che potrebbe essere più saldo davanti all’imperatore), di articolo 18 e di patrimoniale.

Non insistiamo, ve lo chiedo da elettore, con due cantieri distinti: misceliamo le due soluzioni, qualcuno sarà più veemente, qualcuno più gentile. Ma definiamo un “manifesto” e lavoriamo per diffonderlo insieme. Anzi, tutti insieme, perché senza il tutti, credetemi, non funziona.

Per coinvolgere le persone nella sua scrittura, per ridare voce a chi si sente ai margini e escluso, ma da quei margini vuole uscire, per parlare alla società italiana. Questo è il motivo per farlo, che è anche l’unica cosa che conta.

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