I boschi (absit) si sono riempiti di gufi. Non sono le lucciole di Pasolini, ahinoi. Però c’è una concentrazione, una folla, un gufi-gufi inarrestabile, tanto che i rami sembrano cedere sotto il loro peso. E di notte non si dorme più, per via del suono inquietante che emettono.

Dopo due anni dallo stare sereni, l’Italicum è un sistema da cambiare (davvero?) ma solo per ragioni tattiche (mica che poi vinca un altro e stare all’opposizione con l’Italicum è un disastro…). La stessa legge di riforma costituzionale si poteva fare parecchio meglio, non è «perfetta». Anche la povertà, di cui per due anni non si è mai parlato, perché c’era da fare colpo sugli italiani con gli 80 euro e una decontribuzione carissima, fa capolino: argomento gufesco per eccellenza diventa legge (delega) e si destinano anche le famose risorse (pochissime, per la verità). Da qualche giorno, anche le periferie sono invase: ne parlano tutti, perché pare che lì votino gli altri. L’importante è non personalizzare, mi raccomando. Facciamo i paraculi per qualche settimana, poi vediamo.

I gufi tipo Hitchcock invadono il cielo, si allineano sui cavi dell’elettricità, dirigono le comunicazioni dalle redazioni dei giornali. Anche i gufifree di qualche settimana fa si trasformano: come De Benedetti, editore di un gruppo che per due anni c’era solo Renzi e bisognava sacrificare ogni altra forma di vita sull’altare della vittoria, chiede che si cambi l’Italicum (come? Diosololosa) altrimenti vota no (va detto e ripetuto: tutti coloro che condizionano il voto sulla Costituzione ad altro, come fanno da anni quelli della minoranza dem, sono veramente pessimi).

I gufi si occupano anche di banche, soprattutto nella zona etrusca e sui colli senesi, dove la loro diffusione è cresciuta a ritmi folli: tipo i banchieri e i ministri che si accorgono che il bail-in era uno scandalo, sul quale però loro per primi non hanno vigilato, perché le banche italiane stavano benissimo.

Non se ne può più, dei gufi.

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