Così mi scrive Andrea Pertici:

Ma è proprio vero? È davvero possibile che per fare il solito compromesso tra una maggioranza sempre più divisa e ristretta, tutta riversa nelle proprie beghe interne, si proceda alla riforma della Costituzione inserendo un articolo come questo? “Le leggi regionali disciplinano le modalità con le quali sottoporre alle valutazioni degli elettori le candidature dei membri del Consiglio regionale destinati a rappresentare la Regione nel Senato della Repubblica”. Un perfetto stile barocco giuridichese, per veri amanti dei cavilli (ma di quelli mal scritti e mal pensati), per far finta di concedere qualcosa a qualcuno che si è mostrato finora riottoso ma è in realtà assai desideroso di rientrare nei ranghi in cambio di una formula dalla quale semplicemente non si capisce nulla. Per poter fare di tutto. Il punto, anzi il puntiglio, che caratterizza questa riforma dall’inizio però rimane: l’esclusione degli elettori. Questi – con il testo di cui sopra – al più “valutano” le candidature. Ci rendiamo conto? Chi è titolare della sovranità “valuta”… mentre a decidere sono i soliti partiti asserragliati nelle loro stanze chiuse e sempre più preoccupati di aprirsi ai cittadini. Come vediamo anche in questi giorni con la loro diffidenza nei confronti dei referendum che abbiamo proposto e per i quali fino al 30 settembre raccogliamo le firme per votare nella primavera del 2016. Se questo è il punto centrale, altre sono poi le bizzarrie: ogni Regione avrebbe diverse modalità di scegliere (con la “valutazione” degli elettori, ci mancherebbe…) i consiglieri-senatori, che quindi sarebbero diversamente legittimati. E per di più non si sa come dovrebbero essere invece scelti quei ventuno sindaci presenti nel solo Senato italiano nell’intero globo terracqueo. Poi vogliono anche raccontarci che con questi bizantinismi si semplificherebbe il lavoro del Parlamento. Evidente no?

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