Monica Frassoni mi scrive una lettera da Bruxelles che invita alla mobilitazione:

Diceva San Paolo che tutto è lecito, ma non tutto edifica.
Si può applicare questa massima all’azione della BCE. Sicuramente legittima, anche se presa in largo anticipo, ma altrettanto sicuramente volta a dare un segnale politico molto chiaro. Trovate un accordo, alla svelta, perché io non posso fare nulla per fermare il treno del default se non cambiate le regole.

E l’accordo in questione deve mettere il meno possibile in questione i principi secondo i quali la Troika e i suoi padroni politici hanno agito finora. Non solo austerità, ma sostanziale indisponibilità a sentire proposte alternative di uscita dalla crisi e di pagamento del debito, che pure la Grecia non ha mai negato di voler fare.

È una prova di forza, del tipo punirne uno per educarne 100. Se andrà male, è la Grecia fallirà, pazienza. Tanto è provato che si può sopravvivere a un’eventuale Grexit.

Come se non bastasse, non c’è alcuna solidarietà in vista per la Grecia. I sorrisi di Renzi e Hollande si sono già spenti; nell’illusione di conquistare flessibilità per il proprio sistema traballante, si rinuncia completamente a una battaglia a viso aperto. Senza capire che il fronte dell’austerità si può battere solo proponendo una visione alternativa e rapporti di forza seri. Nell’assenza totale delle istituzioni europee, con una Commissione balbettante e Parlamento guidato dal prodotto più ipocrita e opportunista delle larghe alleate PSE/PPE/Lib Martin Schulz, non resta che il rapporto di forza tra Stati.

Se Francia e Italia, e magari la Spagna si muovessero, non necessariamente a favore di tutto quello che dice Tsipras, ma almeno rifiutando l’umiliazione della Grecia, le cose potrebbero essere diverse. Per esempio, si potrebbe accettare che la Troika esca di scena e di dare tempo alla Grecia per formulare un programma di riforme credibile.

Nei giorni del tour europeo di Tsipras e Varoufakis non erano pochi i commentatori che sostenevano che le richieste della Grecia fossero legittime e non campate in aria. E invece ciò che si vuole tenere e un solo punto. Non c’è per la Grecia altra strada che sottomettersi al memorandum e continuare nel circolo vizioso che la costringe a indebitarsi per non fallire e le impedisce di dare una qualsiasi prospettiva ai suoi cittadini. È proprio l’indifferenza per la evidente sofferenza delle persone, il disprezzo per il voto democraticamente espresso che fa più impressione. Questo atteggiamento dei Partners europei non ha nulla a che vedere con l’Europa o con la necessità di rinunciare alla propria sovranità per partecipare a un progetto comune.

Mentre si fanno carte false per favorire in ogni modo i desideri di Cameron, anche di rinazionalizzazione le politica del clima è dell’energia, alla piccola Grecia si riserva un trattamento molto diverso. Come all’inizio della crisi, quando i Greci guardavano sbigottiti il resto dell’Europa trattarli da piccoli imbroglioni, oggi siamo di nuovo all’umiliazione, che si spiega anche con la volontà di non aprire la strada ad altri “rivoluzionari” PoDemos in testa. Il ruolo dell’Italia di Renzi appare perciò ancora più ipocrita e imbelle. Se cade la Grecia, ma anche se cedera, i rischi per noi saranno alle stelle.

Che fare?

Tre proposte. Dobbiamo trovare 20 nomi importanti ed europei che firmino un appello centrato sul valore europeo di un’uscita dal diktat della Troika e a favore di un insieme di riforme davvero in grado di cambiare verso.

Poi chi sta in parlamento deve aprire un confronto con il governo su questo, forzando un dibattito aperto e pubblico.

Poi dobbiamo tentare una mobilitazione anche quella plurale e pubblica ed europea. Ci dobbiamo chiaramente distinguere da Salvini e Le Pen.

Abbiamo avuto migliaia di persone in piazza contro la TAV, contro l’abolizione dell’art. 18, contro le guerre. Adesso dobbiamo portarle in piazza per un’Europa che faccia a meno di austerità e Troika.

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