Padre Mapple s’alzò e, con un tono pacato di non arrogante autorità, ordinò alla folla sparsa di riunirsi: – Banda dritta, oè! a sinistra; banda sinistra, a dritta! Tutti in mezzo!

Herman Melville, Moby Dick o la Balena.

Il bello del trasformismo è che, per sua natura, si trasforma. Con risultati sorprendenti, come vuole la tradizione che risale da una parte a Leopoldo Fregoli, l’attore, e dall’altra alla stagione degli anni Ottanta (dell’Ottocento).

Ora, i più feroci antiberlusconiani sono proprio quelli che parlavano di Berlusconi come di alleato fedele, sintonico, ugualmente motivato al bene del Paese. Minacciano sfracelli sulle leggi che prima non avrebbero mai approvato, negando che ci fosse qualcosa pro o contro Berlusconi. Ora, invece, tutto è letto in questa chiave.

Per non parlare dei trasformisti in proprio, che cambiano gruppo, in un processo migratorio che ricorda le immagini di alcuni documentari del National Geographic. Tutti sono in movimento, ovviamente attratti dal governo e dal potere. Ci sono i ‘responsabili’, che si richiamano all’esperienza dileggiatissima nella scorsa legislatura del mitico trio Calearo, Razzi e soprattutto Scilipoti, a cui non sembra vero di essere stato riabilitato dal corso delle cose. Ci sono i ‘salvatori’ del Patto, amici di Verdini, che ormai non si sa più se sta con Berlusconi o con il governo. Ci sono i tattici di Ncd, partito nato da una scissione e antesignano di tutte le operazioni di cui si parla in questi giorni, che devono decidere se stare o andare. Si accettano scommesse.

Il problema è che le larghe intese per loro natura portano qui, come si diceva fin dall’inizio di questa storia: è un punto d’arrivo inevitabile, si superano le distinzioni fino a dimenticarsene completamente. Ci si annulla, confonde, ci si spaesa da soli per il bene del Paese.

Intanto in molti ipotizzano molto ingenuamente che si possa cambiare schema, riformare le riforme, spostare a sinistra la politica del governo. Bersani, Bindi e Cuperlo, nelle loro interviste, sembrano dire: scordiamoci il passato, cambiamo verso, come se niente fosse, come se i decreti del Jobs Act non fossero presentissimi, come se non avessero votato tutti quanti la riforma del Senato (dicendo ovviamente che non va bene, ovviamente), come se sull’Italicum il problema non fosse molto più grande di come lo raccontano.

Se fosse una cosa seria, ci sarebbe una crisi di governo vera e propria, la scrittura di un programma politico, la definizione chiara di una maggioranza, non di una transumanza evocata dagli stessi che l’hanno sempre bollata come una schifezza (ricordate? Se Cofferati lascia il proprio partito, si deve dimettere, ma se lo lasciano gli altri, e vengono da noi, va tutto benissimo). Ci sarebbero impegni precisi, un mandato da ricevere dalle Camere, cose così, d’altri tempi.

Quando tempo fa scrivevo che lo schema dell’Italicum è in realtà un Unicum, proprio questo intendevo dire: che si cerca un unico polo, al centro, e che su questo si costruisce anche il futuro del sistema politico, con un meccanismo elettorale per cui chi non vince faticherà anche a sapere chi saranno i propri eletti, grazie al sistema tutt’altro che simile ai collegi uninominali che stiamo votando. O, meglio, che stanno votando quasi tutti, anche quelli che ovviamente non sono d’accordo.

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