Vale la pena di leggere un post dell’111111, cioè dell’11 novembre scorso. Si riferiva alla durata del governo Monti. E a quello che sarebbe stato il suo periodo migliore.

Un direttore di un importante quotidiano nazionale mi scrisse: è una proposta insensata.

E invece: dopo la prima botta pesante (che lo doveva essere di più, e di più su una parte) e la credibilità internazionale ritrovata, anche un bambino avrebbe capito che ci si sarebbe incartati.

Di giustizia e di tv, non si parla, né si può parlare, perché altrimenti. Di mercato del lavoro, sì, ma non ci sono i soldi (chi lo avrebbe mai detto?) per fare riforme strutturali e il punto di partenza è, diciamo così, parecchio problematico.

Intanto però si picchia ancora un po’ sulla solita parte, che giustamente non ci sta.

Non parliamo poi delle liberalizzazioni, che non sono andate come molti auspicavano, nonostante fossero cose che «solo un governo così si poteva permettere di fare». Già.

Certo, prosegue la piacevolissima sensazione di non essere governati da manigoldi e arruffoni e certo i colpi di classe non sono mancati: se siamo ancora qui a parlare di politica italiana, vuol dire che siamo sopravvissuti. E se in Europa forse si farà qualcosa, sarà stato merito di questo esecutivo.

Anche le operazioni migliori, però, hanno più di un difetto. E a dirla tutta, lo abbiamo sempre saputo.

Lo sanno bene i partiti che, arrivati esausti al governo cosiddetto tecnico, sono più in confusione di prima. Perché non è semplice vivere ogni giorno in una coalizione diversa, senza un candidato premier, senza avere idea di che cosa succederà nei prossimi sei mesi, senza potersi spendere in prima persona, ma giocando di rimbalzo con un governo che è di tutti e di nessuno.

In sintesi: Monti ha superato quell’emergenza per cui era stato chiamato, indebolendo le ragioni per cui proseguire con la stessa forza il proprio mandato. E a proposito di emergenza, quell’emergenza è passata ai partiti. Che non ne avevano certo bisogno.

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