Lo scrive, oggi, Valentina Conte su Repubblica:

È il Jobs act dei dualismi. Anziché appianare le divergenze, allarga i fossati. Invece di colmare le distanze, acuisce le differenze. Insomma il contrario esatto dell’obiettivo di partenza. Basta leggere i primi due decreti attuativi per rendersene conto. Lavoratori post e pre 2015, giovani e anziani, nuovi e vecchi. Settore pubblico e privato. Aspi e Discoll, ammortizzatori per i garantiti e per i precari. Aziende grandi ed ex aziende piccole. Una babele di discrasie.

Gli assunti del 2015 lo sperimenteranno a breve, sia giovani che costretti a cambiare lavoro e quindi contratto. Avranno meno tutele dei colleghi di scrivania, zero articolo 18, indennizzi al posto della reintegra (e anche più bassi degli attuali, specie se il licenziamento avviene nei primi anni). Tutto da dimostrare il teorema renziano: meno cocopro, più contratti a tutele crescenti. Intanto perché i contratti precari (per ora) non sono stati cancellati. E ancora: statali contro dipendenti privati. I primi esclusi dalla riforma, anche se Renzi dice che se ne riparlerà a febbraio, «sarà il Parlamento a pronunciarsi», quando si discuterà la riforma Madia della Pubblica amministrazione. Aspi contro Discoll: la prima è l’assicurazione riservata ai lavoratori dipendenti che restano disoccupati, fino a 24 mesi, il secondo è l’assegno per i precari, fino a 6 mesi. Aziende grandi contro piccole: sotto i 15 dipendenti la reintegra non c’è mai stata e ora diminuisce anche l’indennizzo, in ogni caso sempre inferiore a quello delle big (massimo 6 mensilità contro 24). Infine il paradosso dei paradossi: le piccole imprese sotto i 15 che assumono e diventano grandi mantengono il regime delle piccole, dunque niente articolo 18 e mini indennizzo. Dualismi. Spaccature.

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