Dall’annuncite alla fiducite: è questa l’ultima patologia della politica italiana.

Lo evidenzia stamani sul Fatto quotidiano Luca De Carolis, che ne ha contate 28, partendo da quelle dell’insediamento.

Una valanga, un record (per battere il quale – pare – bisogna andare indietro di quattro legislature), che impedisce al Parlamento di discutere, di emendare, di svolgere – in sostanza – il proprio lavoro. Facendo dire a qualcuno, con eccessiva disinvoltura e approssimazione costituzionale, che se chiudesse sei mesi nessuno se ne accorgerebbe.

E – come qualche settimana fa aveva rilevato Andrea Pertici – il governo Renzi eccede in fiducie soprattutto in occasione della conversione di decreti legge.

A fine settembre il governo aveva già posto la fiducia, in sede di conversione dei decreti legge, 10 volte alla Camera (su 9 leggi di conversione, avendovi fatto ricorso in entrambe le letture – quella iniziale e quella successiva al passaggio in Senato – nel convertire il d.l. 90 del 2014, sulla riforma della PA) e 8 al Senato, battendo i propri predecessori non solo in fiducie, ma anche in decreti legge, arrivati a 2,76 al mese.

Governo Prodi II
Mesi governo: 23,66
Media mensile decreti legge: 1,99

Governo Berlusconi IV
42,25
1,89

Governo Monti
15,40
2,66

Governo Letta
9,80
2,55

Governo Renzi
7,25
2,76

Nelle ultime due settimane alla Camera l’operazione voto di fiducia su decreto legge è già stata ripetuta due volte: sullo Sblocca Italia e sulla riforma della giustizia civile. Tanto da farlo diventare – come ho dichiarato ieri – “un atto quotidiano”.

Questo significa, in due parole, che prima il governo si sostituisce alle Camere nel fare le leggi e poi, al momento in cui queste devono controllare se quella sostituzione aveva un adeguato fondamento costituzionale e era condivisibile nel merito (visto che sono poi i parlamentari a dover rispondere agli elettori), gli impone di votare il testo così com’è, minacciandolo altrimenti di andarsene.

Una minaccia rafforzata dal falso mito dell’assenza di alternative e dell’ultima spiaggia (già visti, peraltro, con Monti e Letta).

Il premier ha dichiarato ieri in un’intervista a Massimo Giannini che metterà la fiducia sul Jobs Act anche alla Camera «se necessario» (ricordiamo che si tratta di una legge delega, già modificata da un emendamento del governo stesso su cui è stata posta la fiducia al Senato: per la serie, il governo delega se stesso).

Ora si preannuncia lo stesso trattamento alla Camera. Come dire, se i deputati eviteranno di discutere, proporre, emendare e prenderanno il “pacchetto tutto compreso” confezionato dal governo e già fatto ingollare al Senato a colpi di fiducia, non importa chiedere anche a loro la fiducia; ma se intendono dire la loro, esercitare i loro poteri (o, anzi, doveri) di proposta ed emendamento, allora il governo metterà la fiducia per imporre loro quel comportamento del tutto remissivo cui non si sono piegati spontaneamente. Che ormai sembra il governo a controllar le Camere e non viceversa.

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