Ho letto il libro di Walter Veltroni, E se noi domani, uscito oggi in libreria.

Vi ho trovato molti passaggi che condivido, a cominciare da alcuni che mi sembra utile riprendere.

Il primo e più importante è quello che sintetizzerei – reintepretandolo solo un po’ – con il motto: «non pensare all’elefante, soprattutto se l’elefante sei tu». Perché, come ho già avuto modo di dire nella prima direzione nazionale del dopo voto, il vero problema del Pd in campagna elettorale è avere fatto troppo il Pd, pensando che tutto si risolvesse in un dibattito tra di noi, in un clima da primarie che in realtà era già passato e che aveva lasciato spazio a tutt’altro tipo di confronto con il mondo-là-fuori.

Il Pd si occupa troppo di se stesso e – straordinario esempio di narcisismo politico – lo fa fino a perdere se stesso. Preoccupato della propria immagine, smarrisce il proprio profilo. Per quanto riguarda l’elezione del Presidente della Repubblica, l’elefante democratico si è trasferito in cristalleria, frantumando tutto ciò che aveva a che fare con la propria credibilità e la fiducia che dovrebbe (o avrebbe dovuto) attraversarlo e sostenerlo. E così l’elefante ha favorito il maledettissimo giaguaro, già.

La sindrome dell’elefante allo specchio si traduce anche in quella che Veltroni descrive come paura, del nuovo soprattutto: lo stesso ho provato ad affermare anch’io, sabato, intervenendo in assemblea. Paura dei movimenti, della rete, delle critiche, del dissenso. Paura di guardare in faccia la realtà. Paura di ammettere che non è stata colpa di altri, ma del Pd, se le cose sono andate come sono andate. Paura di chi usa linguaggi e codici diversi. Paura di quasi tutto quello che si muove, che invece la sinistra per prima dovrebbe avere curiosità (e interesse) a frequentare e a interpretare.

Il Pd fresco e coraggioso che Veltroni rivendica al progetto originario non si vede più. O non si vede ancora. Che forse è la conclusione a cui siamo pervenuti, dolorosamente, in queste settimane.

Solo attraverso un Congresso si potrà valutare che cosa sia meglio per il Pd e per noi. Facciamolo presto, facciamolo bene, facciamolo aperto. E vinca il migliore. Anzi, i migliori. Perché per vincere c’è bisogno di molti, che vadano a comporre un gruppo dirigente in cui non ci siano esponenti inviati da questa o quella corrente: no, ci siano soltanto ‘inviati’ dei nostri elettori.

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