Elisabetta Gualmini lo spiega molto bene sulla Stampa:

Una tale presa di distanza dalla politica tradizionale può essere interpretata attraverso due diverse chiavi di lettura. Dalla parte della domanda o dell’offerta, dei cittadini o dei partiti (Corbetta e Tuorto 2004). Secondo la prima prospettiva, sarebbe il cambiamento nelle aspettative degli elettori a spiegare la fuga dal voto. Cittadini più istruiti e informati, incuranti delle appartenenze politiche del passato, che si mobilitano o smobilitano secondo interessi precisi e programmi da realizzare. Cittadini «critici» e consapevoli che pongono domande sempre più esigenti a chi intende governare. Secondo l’altra prospettiva è l’inadeguatezza dell’offerta, qui ed ora, dei partiti, a respingerli. La prima tesi ha un suo fondamento, ma non spiega un aumento così veloce e repentino del non voto e dell’anti-voto. Il problema principale sembra invece essere quello di una proposta politica usurata che deve urgentemente cambiare. I partiti lo devono capire (se non lo hanno capito sino da ora). In caso contrario, il risultato delle prossime elezioni politiche potrebbe assomigliare molto di più di quanto non si immaginasse qualche settimana fa allo sconquasso siciliano, nonostante la vittoria del Pd. E questo preoccupa. Moltissimo.

Massimo Franco sul Corriere ribadisce:

Costringe tutti i partiti a una rassegna non di comodo dei limiti e dei ritardi mostrati negli ultimi anni.

Ilvo Diamanti su Repubblica conclude:

In fondo, attualmente oltre 4 elettori su 10, a livello nazionale, non sanno per chi votare. Gli attori politici – i partiti e i loro leader – debbono offrire loro delle buone ragioni. Anzitutto: per votare.

Ecco, speriamo che chi si candida a governare il Paese conservi l’edizione dei giornali di oggi. E lavori di conseguenza.

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