Non ho capito bene il senso dell’intemerata di ieri del segretario nazionale del Pd a proposito dei «fascisti del web». Non l’ho capita, perché se qualcuno ti dà dello zombie e tu zombie non lo sei, ci devi solo ridere sopra. E dimostrare che sei vitale, vitalissimo, se proprio proprio.

E i fascisti, per un partito antifascista, secondo me sono altra e ben più grave, cosa, rispetto a quelli che ti zimbellano e ti attaccano con strumenti satirici (perché a noi la satira piace, giusto?).

E con tutte le contumelie che mi sono preso, recentemente, anche da sostenitori del segretario (che mai mi sognerei di definire «fascisti del web» anche se a volte adottano toni da querela) su questo blog, questo blog avrei dovuto chiuderlo. E rivolgermi agli indomiti cultori dell’ortodossia di partito, chiedendo loro di venire qui, a dirmele, certe cose. Soprattutto se si tratta di dirigenti del partito.

Volete un esempio? Eccolo qui.

Tornando alle dichiarazioni del segretario, la parte che capisco ancora meno è la seguente, in particolare la seconda affermazione, sulla quale è il caso di soffermarsi un momento:

«Vengano qui a dircelo, vengano via dalla Rete. Vengano qui».

La frase, pronunciata dal leader di un partito del campo progressista europeo, consente di ricordare, ancora una volta, che la rete non è un luogo ‘altro’ rispetto alla realtà e chi la frequenta non si pone in una posizione ‘speciale’ rispetto a quella degli altri, che (forse) non la frequentano.

Perché chi sta sulla rete, poi (anzi, prima) legge libri e giornali, va a fare la spesa, guida l’auto, prende un treno e la metropolitana e va a lavorare tutte le mattine: tutte cose che magari non tutti i politici fanno più, si potrebbe dire, se volessimo utilizzare lo stesso metro (è un esempio, eh). E la rete è protagonista del dibattito politico sempre di più, e si pensava che dopo la Milano di Pisapia e i referendum dello scorso anno fosse chiaro a tutti.

E per la verità, in moltissimi sono già «venuti via dalla rete», alle ultime elezioni, e sono anche andati a votare, in parecchi, per il M5S. Altri, invece, non sono andati a votare proprio: forse sono rimasti sulla rete.

Sono certo che Bersani ha cambiato idea, almeno un po’, rispetto alla memorabile definizione di ambaradàn del 2009. E spero che sia stata solo un’uscita infelice, la sua. E che il Pd punterà molto, sulla rete, per la prossima campagna elettorale, come ci siamo permessi di suggerire in un piccolo volume, a disposizione di tutti. Entusiasti e scettici del web.

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