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Oggi pomeriggio, a Milano, per Ricucire l'Italia, la manifestazione promossa da Libertà e Giustizia.

Lo slogan dello striscione è quello che serve e, soprattutto, quello che finora è mancato. Perché i movimenti fanno la loro parte, ed è una parte straordinaria. I partiti li vivono ancora troppo con sospetto. E il sentimento è ovviamente reciproco. E ricambiato ad ogni occasione.

C'è chi teorizza una totale separazione, neanche l'avesse tratteggiata Montesquieu, spiegando ogni volta che può che una cosa sono i movimenti, le piazze e i referendum, e un'altra i partiti, i rappresentanti, la politica. Non gli interessa sapere che molti dei protagonisti degli uni, lo sono anche degli altri, soprattutto al momento del voto.

Il tema, insomma, è quello della rappresentanza. Ancora una volta. Del rapporto tra elettori ed eletti, mistificato dal Porcellum e banalizzato, in questi anni, come se fosse un rapporto a una sola direzione. Anche nei partiti. E purtroppo anche nel centrosinistra.

Un messaggio inviato al Pd, che è il principale partito dell'opposizione al governo attualmente in carica, ma anche agli altri soggetti politici del centrosinistra. E alla politica nazionale nel suo complesso.

«Democrazia di base nei partiti» significa che, come ripetiamo da tempo, ci vogliono le primarie, non solo per il premier (le premiarie) ma anche per i candidati al Parlamento. Che dovrebbero essere scelti dai cittadini, tra i cittadini, e rappresentarli, costantemente, quotidianamente, e nel modo più trasparente e rigoroso che ci sia.

E ci vogliono partiti finalmente aperti, che ospitino le ragioni di tutte queste mobilitazioni, che si confrontino con loro, che cerchino di interpretarle politicamente, alla luce della propria cultura politica e delle soluzioni amministrative e legislative che corrispondono nel migliore dei modi alle esigenze dei cittadini. E alla direzione da dare alle cose.

Sotto l'Arco della Pace, mentre soffia il solito vento di Pisapia (e non solo in senso metaforico), questo è il messaggio: la ricerca di un ponte, di un canale di comunicazione, di una sede di dibattito in cui affrontare la discussione circa il nostro futuro. Senza che i partiti "si sciolgano" nel movimento, senza che il movimento si faccia esso stesso partito (e più partiti, ovviamente, sarebbero). Ma cercando, sulla soglia, e sotto la volta di una politica restituita a se stessa e ci auguriamo vittoriosa, una proposta che sappia rappresentare, appassionare e cambiare le cose. Che riporti la democrazia nel nostro Paese, che è scappata tanti anni fa, e non è più tornata.

Non c'erano molti esponenti del Pd, oggi, in piazza. Ho visto Carlo Monguzzi. E Diana De Marchi. E pochi altri. Forse sarebbe il caso di superare, reticenze, imbarazzi. E iniziare a correre. Togliendosi anche quel maledettissimo cappello, secondo la celebre immagine («non ci mettiamo il cappello») che ha accompagnato le più belle pagine della politica italiana degli ultimi mesi. Buttiamolo là, il cappello: come facevano i ciclisti, quando lanciavano l'attacco decisivo, sulla salita più dura, verso il traguardo.

Se non lo faremo noi, sarà il vento a portarcelo via.

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