Jacopo Suppo, del quale avevo già citato l'appello di qualche giorno fa (a cui, da lontano, avevo anche aderito), scrive un gran pezzo per il Post, che fa un po' di giustizia su alcuni aspetti della vicenda Tav in Valsusa.

Perché, come al solito, nel clamore degli eventi di questi giorni, le sfumature vanno a farsi benedire. Si tratta del tipico schema italiano: chi protesta pacificamente e chi critica costruttivamente è travolto dallo schema dei fronti contrapposti. E dalla violenza altrui.

Oggi, sul Mattino, mi esprimo così: «Rifiuto la violenza senza condizioni e concordo pienamente con quanto affermato dal presidente Napolitano. Ma, anche se sono sicuro di rappresentare una posizione minoritaria nel partito, sono convinto che la strada giusta era avere un atteggiamento di ascolto nei confronti della popolazione e degli esperti – ribadisco: non dei violenti – che avanzavano ragionevoli dubbi e perplessità. Il Pd doveva trovare un equilibrio tra l'urgenza di realizzare l'infrastruttura e quella di ascoltare coloro che sostenevano modalità diverse sul come realizzarla».

Mi riferisco al progetto FARE, un acronimo che non fa pensare a un'opposizione tout court all'opera, ma a una sua articolazione più razionale (non meno razionale, più razionale), che è stato un errore non prendere in considerazione.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti