Siccome sono mesi che si lanciano «spallate» al governo, portando una sfortuna del diavolo, consiglierei a tutti di evitare dichiarazioni che facciano pensare che il voto di domenica e lunedì sia un voto contro Berlusconi. Perché i famosi big del centrosinistra, che di referendum preferivano non parlare fino a qualche settimana fa, hanno proprio esagerato, in questi giorni. E non si tratta di «politicizzazione», ancora una volta, perché il referendum è già fin troppo politico, ma proprio di un errore di valutazione politica.

Lo dico non solo per ragioni meramente elettorali, anche se è del tutto evidente che per raggiungere il quorum bisogna augurarsi che vadano a votare anche gli elettori di quelle forze politiche che hanno voluto il decreto Ronchi, il nucleare e la giustizia su misura del premier.

Per me è importante che ogni battaglia politica abbia la propria dignità, i propri argomenti, le proprie valutazioni. E non è detto che i quesiti referendari siano interpretati esclusivamente con uno spirito di parte e che non possano esserci sorprendenti trasversalità.

Inoltre, credo che i referendum del 2011 abbiano un significato diverso, di matrice culturale, che supera la bagarre quotidiana di dichiarazioni e controdichiarazioni, di attacchi e di risposte, a cui la politica italiana ci ha abituato da vent'anni a questa parte. Sono in gioco e in discussione questioni, se si vuole, più profonde, che riguardano il modello di sviluppo, i rapporti pubblico-privato, le scelte di fondo in campo ambientale: tutti argomenti che hanno un senso politico che, se è possibile, precede anche le ragioni della nostra opposizione al governo attualmente in carica. E che riguardano anche il nostro futuro, pensate un po', e quello che saremo capaci di fare nei prossimi anni.

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