'altra sera, mentre infuriavano le solite polemiche e la nostra miseria si manifestava nella sua pienezza, mi è arrivato un messaggio di Gianni (nel senso di Cuperlo). Diceva così, con la consueta classe del Nostro, rompendo lo schema e riportandoci alla realtà. E al sogno, insieme:
Quando non sei impegnato a rottamare tout le monde, leggi "La cotogna di Istanbul" di Paolo Rumiz. Mi ringrazierai. 
Qualche settimana fa, Gianni mi aveva già consigliato Massimiliano Panarari (L'egemonia sottoculturale, Einaudi) che ormai cito a memoria. Mi sono perciò buttato, anche perché a Rumiz lo dovevo, avendo condiviso con lui, si minuscola licet, l'estate garibaldina. E ho scoperto, leggendo questa ballata dolce e infinita (nel senso più proprio), che i sogni li portano le cotogne. E che i versi di Rumiz, sciolti e liberi, sono un piccolo monumento della letteratura contemporanea. Così com'è la storia che racconta, che però, rispettando le disposizioni transitorie e finali del libro, non posso parafrasare, perché la immiserirei soltanto. E sarebbe un vero sacrilegio.
Vi lascio solo con la citazione di Aristofane (Le vespe), l'esergo del libro, perché è sensazionale:
Incoraggiate coloro che cercano
di tener vigile la vostra mente
tenete in serbo i loro pensieri
metteteli dentro una cassapanca
insieme ad alcune mele cotogne
così i vostri panni avranno profumo
d'intelligenza per un anno intero.

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