Mario Calabresi oggi propone un editoriale di grande impatto retorico, fin dal titolo: «Basta fatti vogliamo promesse». Se la prende con la politica, Calabresi, una politica senza «idee», «sogni», «progetti» e «affabulazioni». Ha ragione. Il pezzo è duro e si conclude così: «L’unica certezza è che avremmo bisogno di molto più dibattito, di proposte, idee e parole e di molti meno silenzi». Come già per Celli e per la sua famosa lettera a suo figlio, sorge spontanea una domanda, dal profondo del cuore: e il giornalismo italiano che cosa fa? Perché il giornale di Calabresi si diffonde sulle indiscrezioni del caso Polverini, intervista i protagonisti, ma non offre alcuno spunto sulle «promesse» che la politica ci offre in questa tornata elettorale? Leggo la Stampa e molti altri giornali tutti i giorni e mi chiedo: quale immagine della politica ci offrono? Perché gli attori contestati – i responsabili di questo clima di «trasandatezza», di «pressapochismo», di «veleni», di «lotte fratricide» – sono puntualmente invitati a dire la loro e non c’è mai anche soltanto una microscopica «rottura dello schema»? Perché, spesso, invece dei fatti, invece delle promesse, ci sono solo i commenti? Perché non si intervista un sindaco che fa il suo mestiere e si rinuncia, almeno per un giorno alla settimana, alla star del gossip romano, al pettegolezzo, all’indiscrezione? Perché corrono tutti dietro a questo squallore? Caro direttore, lei (come me, nel mio piccolissimo) fa parte del ‘sistema’. E lo osserva da una posizione privilegiata. Può cambiare molte più cose di quanto possa fare un comune cittadino, soltanto con la scelta degli argomenti e gli interlocutori. Lo faccia e vedrà arrivare il cambiamento. E le «promesse». E la speranza di vita che portano con sé.

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