Quello che ho detto ieri, al workshop della Green Economy, organizzato in the afternoon, ieri, in Milan, dal Pd.
L’ambiente non è un fatto per ambientalisti, di nicchia, per Ecodem, ma un’opzione politica, economica e elettorale.
Riguarda le scelte individuali (utile, opportunità e risparmio) e collettive (uguale).
Viviamo in una regione in cui gli unici indicatori ambientali che sono cresciuti sono quelli che riguardano gli ettari di consumo di suolo e il quantitativo di materiale escavato, da amministratori che poi magari scrivono sui manifesti: «basta cemento». Già.
Ci sono le battaglie ambientali classiche: ci piacciono i fiumi e anche noi, a modo nostro, tuteliamo “la trota” e gli altri pesci e anche gli uccelli, abbattuti dopo anni di leggi in deroga (ossimoro) contro peppole, storni e prispoloni. E poi ci sono le battaglie ambientali di ultima generazione (antiche, però, anche loro, a ben guardare).
Non ci piace l’Ici, dalla tassa sulla casa (per i ricchi, perché ai poveri ci aveva già pensato Prodi), alle “nuove case” come tassa (oneri di urbanizzazione come unica risorsa), in quella strana alleanza a cui gli amministratori locali sono condannati con speculatori e immobiliaristi per far quadrare i bilanci. Ci sono cose ambientali, a Milano e in Lombardia, che non si capiscono.
Non ho capito cosa abbia di ‘eco’ l’Ecopass e che cosa si stia facendo contro l’emergenza smog oltre a negare che ci sia un’emergenza smog (che non mi pare una soluzione del problema).
Non ho capito se in Lombardia si facciano bonifiche o bonifici e come mai la Regione non abbia nulla da dire su una vicenda clamorosa nelle proporzioni economiche e ambientali (forse è questo il famoso modello lombardo).
Non ho capito perché c’è il bike sharing (finanziato anche con un emendamento del Pd in Regione) ma le uniche piste di Milano sono quelle di cocaina (facile) o quelle degli inquirenti.
Non ho capito perché parliamo solo di strade e autostrade e poi ci stupiamo che non ci siano treni degni di questo nome.
Non ho capito perché Formigoni non cambi un assessore all’ambiente con l’abuso in giardino e con il «pallino del mattone» (cit.).
Non ho capito perché non facciamo una battaglia, insieme ai green artigiani, per mantenere il 55% sulle ristrutturazioni e non coibentiamo un po’ la politica lombarda, che disperde un sacco di energia e di calore (umano, in questo caso).
Non ho capito perché non si parta dagli edifici pubblici per lanciare la sfida dell’efficienza energetica e delle rinnovabili.
Non ho capito esattamente cosa voglia dire: «Nucleare sì, ma non qui da noi», come dicono Formigoni e Zaia, ma anche Palese e, ora, anche Polverini. Come già ricordato, dovremmo fare in modo che in tutte le regioni vinca la destra, così affosseremmo il piano del nucleare di Scajola.
Il fatto è economico e, come si diceva una volta, il problema è politico. Ed è un aspetto elettorale non secondario, da adottare immediatamente nella nostra campagna, perché la Lombardia potrebbe optare per l’ambiente attraverso la partecipazione dei cittadini, degli amministratori e del sistema delle imprese. Come i rifiuti negli ultimi vent’anni, ora tocca all’energia. E visto che “qui da noi” il nucleare non si farà, forse è il caso di impegnarci in modo diverso, diffuso e partecipato in una sfida nuova. Magari cercando di rinnovare la centrale formigoniana, la cui spinta propulsiva si è affievolita sul piano politico, ma sul fronte elettorale rischia addirittura un revamping.

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