D’Alema si candidi alla segreteria del partito. Ormai, dichiara su tutto, interviene su qualsiasi argomento, ha il piglio di chi indica la direzione politica come non gli capitava da quando era a Palazzo Chigi. Passati i sessant’anni, ha scoperto una seconda giovinezza e ha dichiarato di avere le energie per tornare a fare politica au grand jour. Forse si è stancato anche lui di fare battute del tipo: non ho incarichi di partito, sono a disposizione se il partito me lo chiede, sono un semplice deputato. Ora, parla di alleanze, e gira voce che sia una strategia che condivide con Franco Marini. Come nell’annata 1994-1995, quando s’inventò l’Ulivo. Ora il ‘moderato’ a cui guardare è Casini e la sua Udc (addirittura qualcuno parla di Casini candidato premier: il vero Obama italiano, sic). Lo schema è sempre quello, però, l’unico che evidentemente si conosce e che si tenta di presentare agli elettori. Lo dice, D’Alema, e lo ripete, ogni volta che può. Non sono d’accordo: le alleanze si dovranno misurare con il nuovo sistema elettorale, non certo con il porcellum attuale, che, per come è congegnato, inviterebbe ad allearsi pure con il diavolo (sempre che il diavolo, tra l’altro, sia disponibile). Ed è chiaro che si debba fare prima del 2013, come D’Alema ha sostenuto più volte, ma con giudizio e sapendo che prima c’è qualcosa da dire su quello che sarà il Pd. Un partito che D’Alema dovrebbe candidarsi a dirigere, perché è un leader credibile, perché è finita l’epoca degli alibi. E da quel 1994 di anni ne sono passati 15.

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