Nel kit del parlamentare andrebbe inserito – subito! – il testo che Enzo Bianchi (con la ‘i’, non quello che candidiamo alle Europee) ha appena pubblicato per i tipi di Einaudi. Si richiama al suo La differenza cristiana e si intitola Per un’etica condivisa. Einaudi, forse perché conosce la scarsa predisposizione degli esponenti politici a non leggere se non le agenzie di stampa e le interviste di quello della corrente vicina alla loro, scrive sulla copertina: «L’umanità è una, di essa fanno parte religione e irreligione. Per credenti e non credenti è comunque possibile la via della spiritualità. È possibile la vita interiore profonda, la creazione di bellezza tra gli uomini». Bianchi chiede di ridefinire la laicità, senza sconvolgerla continuamente in scontri e conflitti di cui sono primi protagonisti proprio gli esponenti cristiani. Bianchi richiama tutti all’insegnamento del Vaticano II, del Papa precedente (e anche di quello in carica) e soprattutto alla Prima lettera di Pietro (2, 11), «che indica chiaramente lo statuto del cristiano come “straniero e pellegrino”» ( (e mi permetto di notare il riferimento a Cronache, 1, 29:15, con cui Obama apre lo strepitoso libro I sogni di mio padre: «Noi siamo stranieri davanti a te e pellegrini come i nostri padri»). «Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza», per dirla con Ignazio di Antiochia, all’insegna di un esemplarismo che è così importante in una società che ai «testimonial» dovrebbe preferire i «testimoni», scrive Bianchi nel suo modo lucido e appassionato (e religioso anche per chi religioso, stricto sensu, non lo è). Bianchi è chiarissimo e preciso: «La laicità […] è un apporto che i cristiani stessi devono assolutamente dare alla costruzione dell’Europa. Essa appare a tutti necessaria come luogo di rispetto e di neutralità positiva dello stato, uno stato nel quale i cittadini possano sentirsi rappresentati, a qualunque fede, etica e cultura appartengano. Lo stato deve essere laico; certo, la società è una realtà plurale, e per questo il fatto religioso chiede di essere accettato tra gli altri nello spazio pubblico. Lo stato, dal canto suo, deve difendere la libertà di coscienza di tutti; deve vegliare perché sia possibile una coesistenza pacifica tra componenti della società e le differenti religioni o ideologie; deve soprattutto opporsi a ogni forma di violenza con cui si vorrebbero imporre idee e convinzioni religiose». La laicità è «il principio supremo del nostro ordinamento», ricorda Bianchi, in un confronto che deve avvenire anche all’interno della Chiesa, dove invece si sprecano «ordini apodittici, calati impersonalmente dall’alto…». Contro ogni revival teocratico, ma anche a favore di un ruolo profetico della religione cristiana all’interno della società: per superare questi «giorni cattivi» (splendida definizione) in cui «raramente» accade che «i cristiani» riescano «a far percepire a quanti non condividono la loro fede lo spessore e la qualità “umana” di questi valori, che non sono quasi mai presentati e spiegati in termini antropologici» (Bianchi, invece, ci riesce eccome). Ed è quel dato antropologico da riscoprire, alla ricerca di quel «”già là” etico» che è precedente a ogni fede e cercando di affrontare quell’«enigma» che fa parte della vita di ciascuno di noi. Bianchi dispiega tutto questo con una straordinaria efficacia: e da pagina 100 in poi troverete quei principi di «etica condivisa» che da tempo stavamo cercando. E che non sono recensibili. E che vanno letti, soprattutto se poi ci si trova a dover legiferare.

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