Ieri in metrò (a proposito: ma cosa cavolo succede alle linee metropolitane milanesi?) ho iniziato a leggere Il metrò rivistato di Marc Augé, pubblicato da Cortina a vent’anni di distanza dal primo viaggio dell’Etnologo che ha fatto il giro del mondo (l’antropologo, intendo, ma anche il suo libro). Il libro, come tutti i sequel, è meno ‘formidabile’ del primo, ma alle pagine 54-55 si legge una cosa che a me interessa parecchio, perché ci parla di spazio pubblico e di cittadinanza (per me, un vero tormentone). Osservate e leggete con me: «I trasporti pubblici sono infatti oggi il luogo per eccellenza nel quale la nozione di spazio pubblico mantiene un senso [avendolo largamente perduto, aggiungo io]. È all’interno dei treni in movimento e nelle stazioni in cui si cambia linea o mezzo di trasporto che lo spazio pubblico afferma la propria esistenza, anche se in modo contraddittorio. Lo spazio pubblico – se con questo si intende lo spazio concreto in cui tutti incrociano tutti, ma anche lo spazio astratto dove si forma l’opinione pubblica [ritagliare e conservare con cura la definizione] – viene perlopiù identificato con lo spazio dei trasporti pubblici. Un’immensa quantità di persone se ne serve ogni giorno: è lì che esse apprendono le ultime notizie, danno un’occhiata alle pubblicità che vengono affisse e fanno l’esperienza concreta del funzionamento dei servizi pubblici […] e, in senso più largo, di una politica globale le cui eco hanno una particolare risonanza sotto le volte bianche della metropolitana [a Milano, sono i pavimenti della linea 2 a essere diventati bianchi e quindi sporchi in un nanosecondo] o sotto le grandi vetrate delle stazioni del XIX secolo. Qui, il sentimento di insicurezza è latente e i moti popolari sono pronti a manifestarsi in occasione di un controllo o di un ritardo. La “Francia [e l’Italia e l’Europa: pensate alla metropolitana di Londra] delle diversità”, di cui ci parlano fino allo sfinimento, vi subisce le pesanti inerzie del quotidiano». Ecco, mi sembra interessante. Molto. Anche segnalare che molti la metropolitana non la usano. E usano il mezzo privato. Che si chiama così ed è così. Come un’idea di società che questa dimensione pubblica di cui ci parla Augé, che passa un sacco di tempo in metropolitana, deve saper riscoprire. E interpretare nuovamente.

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