Vale la pena di soffermarsi ancora un po’ sull’articolo di Caroline Kennedy e sulle ragioni del suo appoggio nei confronti di Obama, per il valore universale della sua dichiarazione e per il significato che ha per noi, che seguiamo Obama dai Navigli.
La figlia di JFK spiega che le ragioni della sua scelta sono «patriottiche, politiche e personali» e che le tre cose sono tra loro intrecciate (patriottico è il primo motivo e sulla dignità del nostro paese dobbiamo lavorare molto anche noi). Dice di aver passato tutta la vita a sentirsi dire da migliaia di persone che suo padre John aveva cambiato loro la vita e che si sono fatte coinvolgere dall’attività politica attiva e dall’impegno civile perché era stato lui a chiederglielo. Che Obama può essere il suo degno erede, perché si è dimostrato capace di mantenere al massimo gli standard etici (Obama o Mastella, ci chiediamo noi dai Navigli); che crede nelle potenzialità del suo paese, nel suo sogno e negli ideali della democrazia americana; che sa coinvolgere e chiamare alla partecipazione; che ha saputo scegliere e scegliere bene quando si è trattato di questioni decisive per la vita politica del suo paese (e Kennedy parla, qui, della guerra in Iraq). Kennedy vede in questa fase politica un passaggio epocale, proprio come quello dei primi Sessanta, per gli Stati Uniti e per il mondo. E, «for the first time», è convinta di aver trovato un uomo che può diventare il presidente di cui l’America e il mondo hanno bisogno, capace di intepretare le esigenze, le speranze e i sogni di una «new generation of Americans». Obama è nato nel 1961, quando Kennedy divenne presidente. E anche se non credo nella reincarnazione dei leader e del loro carisma, devo dire che il ‘punto’ è molto ben argomentato. E che ‘funziona’ anche per noi, sui Navigli, immersi nella crisi della politica e della sua rappresentanza. Un’adesione, quella di Kennedy a Obama, tutta-politica. Quello che serve anche a noi, se ci pensate bene.

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