Non ci sono più telefonate, né messaggini. Non ci sono più né torti, né recriminazioni. Si gioca pulito e quasi sempre con fair play. Una Juve operaia, con qualche ricchezza ereditata dai bei tempi che furono, riesce a pareggiare con una squadra di fenomeni, tra i quali spicca – a perenne monito per le genti – lo Svedese, preso proprio alla Juventus nel momento del passaggio di consegne e di scudetti. A volte si perdono cose preziose, per un po’ di sufficienza e di leziosità. E la squadra di Mancini – tronfio sia prima che dopo, come sempre – avrebbe dovuto vincere, questa sera, e ha vissuto il pareggio come una sconfitta: di più, come una diminutio. Dopo il primo gol, Stefano mi scrive: «Adesso ci asfaltano». Ma non è andata così. E Palladino si è inventato un cross, e Iaquinta ha fatto la torre, e Camoranesi ha tirato e qualcuno l’ha deviata. Nel frattempo Buffon parava il parabile e Chiellini fermava lo Svedese. Una diapositiva da conservare. Perché parla di quello che è tornata ad essere la Juventus. Con buona pace di chi minacciava sfracelli.

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