A Milano si discute molto del tema: “Non saremo andati troppo a destra?”. Si parla, ad esempio, di campi rom, e ci si accorge che la questione è molto più complessa di quanto, nei giorni convulsi del dopo elezioni, poteva sembrare. Così l’Ulivo, che aveva salutato con favore lo sgombero di un campo, si ritrova a condannare lo sgombero di un altro. Dopo il recepimento della direttiva Cioni – che tutti hanno ritenuto di dover celebrare con interviste molto positive (anche chi si ritroverà in liste diverse per le primarie, il vero motivo del differenziarsi delle posizioni) – e le dichiarazioni preoccupate del ministro Pollastrini, anche la Camera del Lavoro prende le distanze da quello che viene definito neoleghismo (per altro praticato da tutti, dai vertici fino all’ultimo consigliere comunale, con proposte spesso curiose e certamente velleitarie). Insomma, dopo le sfuriate destrorse, è di moda l’atteggiamento riflessivo. Prendo le distanze da questo modo di fare politica: ho sempre detto che non si può e non si deve dichiarare sull’onda del risultato elettorale o della polemica del giorno, che i problemi sono complessi e che il più grave errore che si possa commettere non è quello di cedere al leghismo, ma di essere qualunquisti. Abbiamo bisogno di un lavoro paziente, che guarda alla proposta politica concreta ma che intende riaffermare un punto di vista nostro, autonomo e forte, superando quel deficit culturale denunciato da Furio Colombo che sento anch’io nel profondo. A giugno, mi sembrava di essere l’unico a pensarlo: forse altri se ne sono finalmente resi conto.

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