Meno male che la sede è il Palazzo della Ragione. Perché la mostra «Arte e Omosessualità – Da von Gloeden a Pierre et Gilles» è al centro della polemica più retriva e provinciale della storia della città di Milano. Dopo il vergognoso balletto circa il contributo al festival del cinema gay (risultato: nessun contributo), a Milano va in scena la censura e il controllo politico della giunta comunale sulle forme espressive. Sgarbi si fa pubblicità, ma in realtà passa in rassegna la manifestazione, togliendo le opere più sconvenienti e ristampando cataloghi in continuazione (domandina: perché non pensarci prima? Sgarbi era informato dell’omofobia dei suoi colleghi? O forse preferisce il bailamme che gli è così congeniale?). Letizia Moratti, esponente della destra da sussidiario, si schermisce e sembra quasi invitare tutti a chiedere permesso e a calzare le pattine, che altrimenti si rovina la cera del salotto buono di Milano. Altro che ticket anti-traffico: quella della Moratti è una selezione all’ingresso (e anche all’ingrosso), che allontana dai Bastioni (in senso anche metaforico) tutto ciò che è diverso e soprattutto libero. Casa delle libertà? Sì, ciao. Ve l’immaginate una polemica così a Barcellona o a Berlino? La vergogna più grande non è certo rappresentata dai fotomontaggi con Sircana in trans o dai simil-Ratzinger: la vergogna di Milano e della politica milanese, nella città più gay d’Italia, è l’omofobia. E lo squallore culturale che essa porta con sé.

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