Da tempo alle prese con il segreto di Alex, non potevo certo esimermi dal raccogliere la ‘provocazione’ di Jean-Philippe Toussaint che Casagrande pubblica in Italia (La malinconia di Zidane). Un racconto brevissimo dell’ultima notte di Zizou, a Berlino, dal tiro perfetto del rigore a cucchiaio del settimo minuto al gesto più eclatante e decisivo del calcio recente: la famosa testata ai danni di Marco Materazzi. Toussaint azzarda un’ipotesi, paradossale, passando da Zenone a Zidane: che il colpo non possa mai essere avvenuto, all’insegna della stessa impossibilità che condanna Achille a non raggiungere mai la tartaruga. Un’ipotesi curiosa e un po’ intellettualistica che non ci prende granché. Ma è quando tratteggia il motivo malinconico, che Toussaint ci regala pagine speciali: di uno Zidane che non sa come chiudere la carriera, un campione a cui non è permesso porre un termine alle proprie imprese, che non può accettare di farlo in bellezza, perché en beauté non è nemmeno finire, è qualcosa di più: "è chiudere la leggenda". Alzare la Coppa, quella sera, per Zizou, avrebbe significato celebrare la propria morte: "Mancare l’uscita di scena", al contrario, "lascia delle prospettive aperte, sconosciute e vive". E, allora, piuttosto che concludere, l’influenza saturnina gli impone un eccesso, che lascia aperta la storia e non la definisce. Non la compie. Un po’ come un certo Alex, che per un periodo sembrava quasi voler assecondare il cattivo gioco che gli attribuivano. E come tutti noi, per i quali la parola fine è quella più difficile da pronunciare. Perché non ne conosciamo – davvero, intendo – il significato.

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