Da non perdere il saggio di Bruno Arpaia, Per una sinistra reazionaria, pubblicato qualche giorno fa per i tipi di Guanda. Per parlarne, mi affido alle ultime righe, e all’ultima citazione: «Come diceva Carlos Quijano, i peccati contro la speranza sono i più terribili, i più catastrofici: sono gli unici che non hanno né perdono, né redenzione». Per questo Arpaia guarda a una sinistra reazionaria, in senso – chiaramente – sofisticato. «La sinistra reazionaria, comunque saldamente legata al concetto di uguaglianza, “reagisce” a qualunque imposizione del pensiero unico che risuona ai quattro angoli del pianeta, ai cantori dello “spirito del tempo”». Contro le facili innovazioni della vulgata politica della sinistra contemporanea, Arpaia riparte da Pasolini e da Gadda (contro quell’Io che non è nient’altro che «il più lurido dei pronomi»), per mettere in discussione una troppo comoda accettazione della modernità e dell’idea di progresso. Senza per questo volere un ritorno al «marxismo Neanderthal» (per usare la definizione di Paco Taibo II), ma esercitando fino in fondo una critica politica ‘vecchio’ stile, che decostruisce alcuni luoghi comuni del dibattito attuale, a cominciare dal concetto, pericoloso quant’altri mai, di identità, nella parte del libro forse più significativa. Una lettura consigliata a tutti ma obbligatoria per riformisti e riformatori antichi e nuovissimi.

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