I miei genitori mi hanno chiamato Giuseppe, nome ottocentesco anziché no, sulla base di una intuizione che spesso mi ha fatto riflettere. Sostenevano che il lavoro di Giuseppe, umile e indipendente, facesse segno a una vita serena e ritirata che loro, battezzandomi così, mi auguravano. Per ora non è andata proprio come avevano previsto, ma voglio conservare lo spirito di quel nome, nel giorno del mio onomastico, cercando di preservarmi dal beccheggio della nave su cui sono salito ormai tanto tempo fa. Come apprendista falegname, per ora, mi tocca far parte di innumerevoli tavoli, di mediazione, di confronto, di dibattito. Il Pd, in questo senso, dovrebbe ridurne il numero e, mi auguro, rendere più efficienti quelli che rimarranno. Come ognun sa, però, per fare il tavolo, ci vuole il legno (e tante altre cose che vengono prima, come vuole la filastrocca): e la sostanza del nostro lavoro è, insomma, la cosa più importante. Lasciatevelo dire, oggi, da un giuseppe qualunque.

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