Trovo stucchevoli le cerimonie, le feste comandate, quei giorni in cui deve succedere qualcosa di diverso dal solito (semel in anno) e in generale detesto gli anniversari, le ricorrenze, a parte ovviamente il 25 aprile (che, però, com’è noto, non è una ricorrenza: ora e sempre, resistenza). Ciascuno ha le proprie date, e se le tiene ben strette, ma sono diverse per ciascuno: se vi dico 22 dicembre, a voi non interessa un granché, ma a me sì, e viene in mente uno strepitoso pezzo del giovane Benigni (il primo, mitico Tuttobenigni) nel quale venivano declamate con voce stentorea alcune date senza alcun riferimento con la realtà. Oggi, però, è l’8 marzo, e già l’anno scorso denunciavo che c’era più di una cosa che non funzionava: si parlava di liste elettorali e della solita, sconvolgente scoperta che c’erano poche donne tra gli eleggibili (la politica, apparentemente femminile singolare, è tutta un plurale maschile). Che strano. Ecco, quest’anno vorrei che succedesse qualcosa, che qualcosa si rompesse, che gli uomini diventassero più umani di quello che sono (e che sono sempre stati) e che amassero le donne. Così, senza ulteriori slanci retorici. E che da questa presa di posizione tutt’altro che innaturale, mi pare, discendesse tutto il resto, anche la volontà di affidare loro la nostra vita. Personale e pubblica. Singolare e plurale.

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