Un giorno, ero a Parigi ed ero molto giovane, e sono stato al Père Lachaise. Tutti a cercare Jim Morrison, ma io avevo una premura. Andare a visitare la tomba di Paul Lafargue, il genero di Marx (aveva sposato Laura, che pare fosse bellissima) che aveva firmato un libretto famoso, Le droit à la paresse, che poi sarebbe Il diritto all’ozio (ma anche alla pigrizia). Era comunista così, Lafargue, e in quel libro si preoccupava di affermare, anche per il proletariato, le ragioni di quello che oggi definiremmo "tempo libero". Mi viene in mente ora, Lafargue, perché la questione del tempo e della sua disponibilità (quando lo capirà la politica?) è molto collegata al nostro ‘momento’ e perché fa segno alla celebrazione odierna della giornata della lentezza. Che abbiamo bisogno di andare più piano e meglio, lo abbiamo imparato da un altro grande, l’indimenticabile Alexander Langer. Da Milan Kundera sappiamo che "nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio". Ci sono anche esempi più prosaici: andare troppo veloci in autostrada, oltre ad essere pericoloso, aumenta vertiginosamente il Pm10. Lavorare "alla milanese", dovendo presentare il risultato del proprio lavoro "per domattina", non è sempre salutare. Assumere decisioni senza averle ponderate, non aiuta a vivere bene. Scambiare la prontezza di spirito per intelligenza, come voleva qualcuno, genera mostri. Faccio una proposta rivoluzionaria: sospendere il giudizio, aspettare la risposta, attendere che la soluzione arrivi e si profili all’orizzonte. A little patience, del resto, cantano i Take that: per il giorno della lentezza, e anche per il resto dell’anno, può valere la pena di fare così…

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