E’ molto tardi. E il film di Muccino poteva anche essere il film sbagliato. Invece non lo è e non lo è stato. Se vi dicono che La ricerca della felicità descrive il sogno americano, da Franklin a Reagan, da un punto di vista un po’ destrorso, hanno ragione e torto insieme. Perché il segreto del film è la lunga attesa con la quale il sogno si manifesta: il processo, insomma, è molto più importante del risultato, nella lettura un po’ europea (e un po’ neorealista) che Muccino vuole offrire, pur essendosi travestito perfettamente da regista americano. E il punto è che ciò si ottiene attraverso le contraddizioni della società americana, come si suol dire, ma soprattutto attraverso la lettura molto umana (e tenera) della storia. Il ‘punto’ del film pare essere che la felicità non solo non coincide con il successo (o con i soldi), ma è disseminata anche nei momenti tristi e duri delle vicende di un bravo Will Smith e del dolcissimo piccolo, che è figlio suo anche nella vita. La felicità fatica ad arrivare e in alcuni momenti sembra allontanarsi irrimediabilmente. Ma poi, molto tardi, arriva. Un sogno maturo e non scontato, quindi, come sembra essere questo film di Gabriele Muccino.

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