Mentre rileggo i giornali sulla vicenda della scuola di via Ventura, come già in occasione dell’incredibile dibattito in Consiglio regionale sulla solidarietà a Ratzinger per via degli attacchi dell’islamismo radicale (risoltosi con una sorta di relativismo delle mozioni e la votazione di tre testi diversi per consentire a tutti di spararla più grossa), ho come l’impressione di trovarmi in un posto in cui l’irresponsabilità è premiata con l’elezione alle cariche più prestigiose. Tra il linguaggio da trivio, la più scandalosa incapacità di interpretare la complessità della società di oggi, la volontà sempre e comunque di banalizzare qualsiasi cosa accada e di dividersi in tifoserie da bar dello sport, viene voglia di scappare.
Da tempo difendo la scuola pubblica come un valore grande, «non negoziabile» direbbe qualcuno, occasione naturale di socializzazione e di crescita e, consentitemi un po’ di retorica, fulcro di ogni politica della convivenza e dell’apertura agli altri. Da tempo penso che una società che interpreti correttamente le differenze non si debba chiudere in compartimenti più o meno stagni e che il comunitarismo sia in generale pericoloso: anzi, un vero e proprio ostacolo alla condivisione e alla conoscenza reciproca. Detto questo, considero inqualificabile la canea che ha accompagnato la procedura di autorizzazione della scuola araba di via Ventura. E, attenzione, in queste vicende le parole sono importanti: vanno misurate, confrontate, soppesate, corrette, con l’acribia dei filologi. E allora trovo davvero paradossale sentire osteggiare una scuola presentata come religiosa dai fautori più orgogliosi delle scuole cattoliche. Trovo ridicolo che venga contestato il bisogno di identità delle famiglie degli immigrati di cultura islamica da coloro che blaterano di identità in ogni occasione. Trovo stucchevole che i promotori della qualità aziendale della pubblica amministrazione – il sindaco Moratti su tutti – si nascondano dietro le lungaggini burocratiche, per non scontentare il leghista vicino di banco in giunta. E trovo vergognoso che tutti coloro che in questi anni hanno negato la possibilità anche soltanto di un’iniziativa a favore dell’intercultura (penso al governo regionale, preoccupato di finanziare le radici celtiche anziché di promuovere il confronto interculturale), oggi denuncino il rischio della auto-ghettizzazione delle popolazioni straniere di Milano. Si fossero comportati diversamente, avrebbero consentito di affermare nella nostra città e in questo povero Paese una maggiore maturità e consapevolezza del problema. Che tristezza.

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