Formigoni rimane in Lombardia. Tutti lo sanno da almeno un mese, ma l’Amleto del Pirelli non poteva che attendere una notte di mezza estate per comunicare che sarebbe rimasto a Milano, rinunciando al seggio di senatore. “Il dado è tratto, la decisione assunta”, dice un Formigoni al solito modesto nel riferimento storico. Il suo referendum farsesco – hanno partecipato 158.000 persone, molte delle quali attraverso un sito internet senza registrazione (in cui si poteva cioè votare più volte) – ha decretato quello che avevano già stabilito le elezioni del 2005: farà il presidente della Regione Lombardia. Bella scoperta, verrebbe da dire. E, invece, è un dato che non va banalizzato. In effetti, come se si trattasse dell’orbita di un pianeta, un anno è passato e tutto è tornato uguale ad allora. Nei prossimi giorni, come l’anno scorso, Formigoni comporrà la nuova giunta regionale, scegliendo gli assessori in ragione della vicinanza al principe, testimoniata anche dalla curiosa assonanza del cognome (arriveranno, per primi, i Ponzoni e i Rossoni). Poi si parlerà di peppole e prispoloni (la rima questa volta non c’entra), gli uccellini da cacciare in deroga alle direttive europee. Poi si discuterà della legge contro Monza e del bilancio regionale, poi si faranno un po’ di annunci (enciclopedici, al solito), si parlerà del fumoso riformismo lombardo e sarà venuto il tempo delle vacanze. L’orbita diventa così un circolo vizioso, a cui la politica lombarda è condannata da un presidente senza più slancio, che torna indietro, sui propri passi, calcando le stesse, identiche orme. Un ciclo perfetto, di ascendenza stoica, che potrà essere interrotto solo se la Lega deciderà di lasciare la Cdl: esattamente come l’anno scorso, e l’anno prima, e quello prima ancora. E risuonerà il vecchio motivo, sulle spiagge: per quest’anno, non cambiare…

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