Ha cambiato significato, la parola politica “da comizio” per eccellenza.

Certo, qualcuno – al solito, quasi tutti – ha tentato di collegarla ancora al tema dell’immigrazione, senza rendersi conto che i confini si sono spostati all’interno del nostro paese, tra zone rosse e arancioni e insomma aree critiche e a rischio. Più che di porti, insomma, si tratta di porte. Di caselli autostradali, al massimo.

Abbiamo capito che la sicurezza è sanitaria e lavorativa, prima di tutto. E quindi sociale ed economica. E dipende dai comportamenti di ciascuno e dalla responsabilità personale (come quella penale) ma anche da come funziona il ‘sistema’. Il contesto, quindi, ci riguarda.

La quarantena – ormai ci siamo quasi, al quarantesimo giorno – ci ha insegnato anche questo. Tuttavia non basta. Dovremo essere conseguenti, in futuro.

Asserragliati nelle nostre case in un eterno presidio, “al sicuro”, abbiamo forse capito che mancava più di un pezzo al discorso della politica. Quasi tutto. Da troppo tempo.

Ora lo sappiamo: siamo “sicuri” che prima stavamo sbagliando e dobbiamo assicurarci che il futuro sia diverso, perché un sistema insicuro e malato si cura. E si assicura.

La sicurezza riguarda ora gli ambienti (e speriamo l’ambiente), le date e le scadenze, i comportamenti, le informazioni, le distanze e i margini (di sicurezza, appunto). E la social security.

E di questo, appunto, sono “sicuro”: sicurezza è non dover rischiare la vita andando a lavorare e sul posto di lavoro, è proteggere i più fragili, è dare certezza che la vita familiare abbia sostegno e risorse per arrivare alla fine del mese. E per dare a tutti la possibilità di migliorare la propria condizione, non di vederla lentamente peggiorare. E anche il rischio è un po’ come la libertà: ci sta, se il nostro rischiare non comporta un rischio per gli altri. Per tutti.

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