Folletto. Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo.
Gnomo. Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.
Folletto. Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo. E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto. Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo. E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto. Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e non misurando l’età passata, ce ne daremo meno affanno, e quando saremo vecchissimi non istaremo aspettando la morte di giorno in giorno.
Gnomo. Ma come sono andati a mancare quei monelli?
Folletto. Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.
Gnomo. A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.
Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti. E certo che quelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi che, come io ti diceva, hanno usato gli uomini per andare in perdizione […] Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.

Giacomo Leopardi, Operette morali, Dialogo di un folletto e di uno gnomo.

Telmo Pievani accompagna le fotografie di Frans Lanting in un libro suggestivo, pubblicato da Contrasto: La Terra dopo di noi. Proprio come Leopardi, Pievani immagina ciò che accadrà al pianeta dopo la nostra scomparsa. Non solo di esperimento mentale o letterario si tratta, ma di una riflessione tutt’altro che scontata sulla sesta estinzione di massa che potrebbe riguardare la Terra. Per quanto riguarda l’uomo, un’estinzione autoimposta. Pievani provoca: facciamo parte di una «self-endangered species, specie auto-minacciatasi di estinzione».

E analizzando la vita del mondo e ripassando la sua storia profonda, ci rendiamo conto che andrebbe avanti senza di noi, come ha quasi sempre fatto. Perché prima e dopo l’uomo la Terra ha, ha avuto e avrà una propria storia, una propria vita. E la responsabilità dell’uomo è quella di salvare se stesso, ovvero la possibilità che nuove generazioni si affaccino sulla scena del mondo. Altrimenti, si perderanno molte altre specie, come sta accadendo da quando è comparso l’«asteroide chiamato Homo sapiens», ma il pianeta non finirà, come diciamo nei nostri slogan: finiremo noi. Pievani discute di Franzen, ritorna agli insegnamenti di Alexander von Humboldt, ricorda che ciò che dice Greta Thunberg è esattamente ciò che gli scienziati ripetono da decenni. Inascoltati.

E, nelle ultime pagine, avanza un programma di governo della Terra molto ambizioso, di cui dovremmo tenere conto. Ora.

Per esempio, vietare l’estrazione e l’uso di combustibili fossili, in presenza di alternative sostenibili. Detassare bioedilizia e ristrutturazioni per aumentare l’efficienza energetica. Azzerare il consumo di suolo e investire nella prevenzione del dissesto idrogeologico. Avvicinare l’approvvigionamento energetico alle comunità locali. Fare boicottaggio etico, economico e di reputazione nei confronti di enti pubblici e privati che non collaborino alla salvaguardia del benessere dei nostri discendenti. Rendere rischiosi e controproducenti gli investimenti su risorse non rinnovabili. Attraverso l’educazione civica, condividere regole di comportamento anti-spreco in campo alimentare e dei rifiuti. Scoraggiare i consumi idioti. Abolire gli allevamenti intensivi. Tassare rendite, patrimoni ingenti e utili non reinvestiti. Favorire diritti civili ed emancipazione delle donne, anche per avere politiche familiari ragionevoli. Abolire la guerra come risoluzione dei conflitti. Curare le filiere del cibo in modo che siano socialmente eque e con bassi costi ambientali. Pianificare il trasporto su rotaia e riqualificare la manodopera di settore. Aiutare i paesi a basso reddito affinché saltino i passaggi tecnologici (e gli errori) fatti da noi e adottino direttamente le soluzioni tecniche più innovative. Usare internet per la crescita civile, non per raccontare balle. Puntare su qualità e ricerca per lavorare meno e lavorare tutti. Sprigionare le risorse intellettuali e lavorative che derivano dalla mobilità fisica e sociale. Adottare subito a livello di Nazioni Unite la proposta di “metà della Terra” sotto protezione ambientale, avanzata da Edward O. Wilson ad Harvard, Sarebbe poi un sogno bellissimo se le singole politiche venissero verificate oggettivamente nei risultati, per correggerle se il caso. Ma soprattutto: investire risorse ingenti e strutturali nell’istruzione, nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica. Ancora più in generale, unire umanesimo e scienza, illuminismo e solidarietà.

#ilibrideglialtri

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