“Quando attraversi la Death Valley raccomandano di portare abbondanti scorte d’acqua”. Così Stefano, appena prendiamo la strada per l’Appennino.

Positivo, Catone.

Cautela alla guida, se rimaniamo senza energia è un guaio. Sembra di guidare in una Formula 1 all’incontrario: chi consuma meno, vince. Un rally della sobrietà. Non accelerare inutilmente, mantenere la stessa andatura, il più possibile, nonostante il tracciato sia misto. Saliscendi. Soprattutto sali, mannaggia.

Abbiamo superato il passo Sambuca – un nome, un destino. Siamo felici. Più di 1000 metri, 1080 per la precisione (anche quegli 80 contano, nell’economia della tappa). Altitudine che nemmeno il K2, facendo le debite.

Sul passo i partigiani. I loro cognomi. Bastia, Giuliani, Lambruschi, Liverani, Lollini, Priori, Montefiori, Remondini, Tabellini, Tagliaferri, Tirapani, Trombelli, Venturi.

Dopo il passo, un altro passo. Bene ma non benissimo. È equivalente, per altitudine. E fa soffrire la batteria. Studiamo le isoipse, ce la dovremmo fare. Catone, con il suo aplomb, ritira fuori la storia dell’acqua.


La discesa però ricarica. E allora ci possiamo permettere anche un po’ di aria condizionata, fuori 37 gradi all’ombra. Non si sciolgono solo i ghiacciai, anche la nostra freddezza.

Una tappa nel Mugello, a Borgo San Lorenzo, una alla Villa della Petraia. La bellezza.

Verso Firenze il controfagotto diventa oboe, clarinetto e poi tromba. Bersagliera. Non possiamo lasciare andare tutto così. Non è giusto. Per i nostri figli, e pure per noi.

Una serata al Teatro, nella cavea, con tutto il meglio di People, ospiti di Black Candy e, guarda un po’, delle Nozze di Figaro. Tutto si tiene, un filo rosso, anzi verde, anzi blu elettrico unisce i puntini del viaggio.

Non vorrei che fossimo ricordati con una targa rovesciata:

“Distrussero il Paese. La cittadinanza depose”.

Dobbiamo reagire. Mentre ogni giorno tutti osservano tipo Nat Geo la caduta del governo che non cade, è il paese a cadere a pezzi. Ed è colpa loro, certo, ma anche nostra.

E allora in questi mesi, come fossero tappe di un “altro viaggio” (dantesca, l’espressione), abbiamo provato a unire puntini ideali.

La Professoressa di Palermo accusata e sospesa per avere discusso il libro di Liliana Segre che ho curato.

Elizabeth che ha avuto più di un problema per la sua Lettera al ministro – l’unico ministro, pare, di questo governo – e agli italiani. Come lei. Come tutti noi.

A casa loro, il monologo sulla Libia che Giulio Cavalli ha scritto con Nello Scavo. Che ti procura molti nemici, perché dici cose sconvenienti, così almeno la pensano tutte le parti politiche.

Le vignette di Biani, vere targhe del Tempo in cui viviamo. La profezia di Langer, dolce e potente. La carica di Ocasio-Cortez, un altro viaggio, quello di Sanders, dopo una sconfitta che tutto sommato non lo era. Le corse dei fattorini, nel libro di Serafin.

E molto altro ancora. Perché bisogna solo scrivere e lottare, come dice una vecchia canzone. La cultura, come vuole Papi, sono le nostre strade, quello che vediamo mentre corriamo – parola grossa, grossissima – nel Chianti, verso Perugia, attraverso le generazioni passate che hanno “fatto” tutto questo. Perché la cultura è anche storia, una storia che non inizia con Toninelli, benché quelli come lui ne siano intimamente convinti.

Noi viaggiamo, indietro e quindi avanti, nel Tempo.

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