Non è vero che tutti i politici non si occupano del clima, non è vero che siano tutti uguali. Da anni attaccate ad alzo zero, giustamente, per l’inerzia dei gruppi dirigenti. Ora tocca a tutti noi suonare una sveglia, anzi, una sirena, fragorosa, come quella dei porti. È il momento che salti il diaframma tra competenza e politica e che ci si metta tutti in gioco.

Non lo facciamo per le elezioni o per una preferenza in più, lo facciamo per il pianeta e per cambiare un sistema ingiusto che non possiamo più sostenere. Per i nostri figli. Non pensiamo alla politica come a una professione, se non come quella che tiene insieme le responsabilità e la volontà di fare bene le cose importanti (di più necessarie), per vivere bene insieme.

Dimenticatevi di Civati e di tutti gli altri. Fatelo perché sappiamo che le cose stanno andando in una direzione pessima per il genere umano, nel suo complesso. Confini, etnie, nazioni? Qui è in gioco tutto quanto. Non la Brexit, e nemmeno la convenienza di questo o di quello.

Qui è in gioco la nostra sopravvivenza e, prestissimo, il benessere di miliardi di persone, anche di quelle che ora si sentono al sicuro e non vedono il pericolo. E si affidano ancora a chi lo nega, lo minimizza, lo sottrae all’attenzione del dibattito pubblico.

Possiamo continuare a parlare delle polemichette provinciali, che ci distraggono, come fossero un dopopartita calcistico o un reality. Oppure possiamo cambiare, con la stessa forza, uguale e contraria, con cui sta cambiando il clima. Un giorno ci chiederanno, i nostri figli e i nostri nipoti, che cosa abbiamo fatto. Ecco, vorrei che avessimo, tutti insieme, una risposta seria da offrire loro.

Negli Stati Uniti e in altri paesi europei molte donne e molti uomini di cultura e di spettacolo accompagnano gli scienziati in questa denuncia. E prendono parola. E si schierano. Fatelo anche voi. E vi prego di farlo ora, perché non c’è più tempo.

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