Sono lieto che in questi giorni si torni a parlare di salario minimo, una misura che considero fondamentale da anni e che era al centro del Manifesto che con Possibile abbiamo presentato nel settembre di due anni fa.

Dopo il recente innescarsi di un nuovo dibattito sull’argomento in Italia, con le proposte presentate in Parlamento da Cinquestelle e Pd, Luigi Di Maio ora lo propone come misura da adottare a livello europeo.

Non posso però non notare che il dibattito appare un po’ indietro, e non solo per questioni di tempi, ma anche di contenuti.

Pur volendo trascurare la proposta di Possibile, curata con la consueta precisione e meticolosità da Davide Serafin con il contributo di Daniela Minnetti e Enrico Vulpiani, ci sono esempi ben più illustri che dovrebbero farci riflettere tutti.

La proposta di un salario minimo su scala continentale non è certo nuova, l’attuale presidente della Commissione Juncker l’avanzò la prima volta addirittura nel 2013, quando era presidente dell’Eurogruppo, e fu parte della sua piattaforma nel 2014, quando si candidò alle europee con i Popolari.

E spiace dirlo, ma la proposta del conservatore lussemburghese era e resta più progressista di quella di Di Maio e persino di quella di Zingaretti.

Juncker, infatti, proponeva non un salario minimo orario la cui cifra è fissata per legge, come fanno tanto il M5S quanto Il Pd, ma un più corretto criterio in cui il minimo viene stabilito in rapporto al 60% della mediana nazionale delle retribuzioni. In questo modo, all’aumentare della mediana, aumenta anche il salario minimo, mentre con le proposte dei cinquestelle e dei democratici qualsiasi adeguamento richiederebbe una nuova legge e una nuova volontà politica, che potrebbe anche andare in direzione opposta, cioè quella di abbassarlo.

Tornando, poi, alla proposta avanzata da Possibile, credo ci siano due elementi che tanto il governo quanto quella parte di opposizione dovrebbero tenere in considerazione, nettamente migliorativi rispetto alle loro rispettive proposte. Il salario minimo da noi proposto, oltre all’ancoraggio alla mediana come quello di Juncker, prevede un adeguamento legato all’eventuale aumento della produttività.
Quanto poi alle obiezioni sollevate da molte forze sindacali, le quali sostengono che il salario minimo potrebbe andare a danneggiare la contrattazione collettiva nazionale, la nostra proposta fa in modo che questo non possa essere, stabilisce infatti che il minimo di legge debba prevalere solo se inferiore al minimo previsto dal contratto collettivo, mentre la proposta della senatrice Catalfo è molto meno chiara, su questo aspetto.

Bene che si parli di salario minimo, quindi, ma forse vale la pena di farlo in maniera più precisa e puntuale, a meno che non ci si voglia mettere alla destra di Juncker.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti