Ne parlavamo ieri nel PeoplePodcast con un irresistibile Marco Tiberi (per ascoltare il podcast, andate qui o qui).

Abbiamo concluso con il fico di Ulisse.

Qualcuno mi ha chiesto da dove provenisse la citazione. Mi permetto di rispondere citando una cosa che ho scritto nel 2015 (passano gli anni passano, crescono i bimbi crescono). In quel caso era un fico ben diverso, diciamo così, dal fico attuale a cui siamo appesi. Il titolo del libro, pensate, era Qualcuno ci giudicherà (lo pubblicò Einaudi).

Eccolo.

Ne parla Omero nell’Odissea, in un passaggio cui sono molto affezionato. Il fico viene presentato così:

Grande verdeggia in questo, e d’ampie foglie
Selvaggio fico; e alle sue falde assorbe
La temuta Cariddi il negro mare.

Un fico che verdeggia proprio lì, tra Scilla e Cariddi. Poi viene la tempesta, il naufragio, il rischio di perdere tutto, ma subito dopo il fico ritorna. Come una pistola nei romanzi: se compare, potete stare certi che sparerà, diceva Anton Čechov. E infatti al fico “eccelso”, dai “lunghi, immensi rami”, Ulisse si appende come un pipistrello, racconta Omero, senza avere la possibilità di salire o di scendere. E se ne sta lì, in attesa che il gorgo restituisca “gli avanzi della nave”:

Mi ritrovai della fatal vorago,
Che in quel punto inghiottia le salse spume
Io, slanciandomi in alto, a quel selvaggio
M’aggrappai fico eccelso, e mi v’attenni,
Qual vipistrello: ché né dove i piedi
Fermar, né come ascendere, io sapea,
Tanto eran lungi le radici, e tanto
Remoti dalla mano i lunghi, immensi
Rami, che d’ombra ricoprian Cariddi.
Là dunque io m’attenea, bramando sempre,
Che rigettati dall’orrendo abisso
Fosser gli avanzi della nave. Al fine
Dopo un lungo desio vennero a galla.
Nella stagion, che il giudicante, sciolte
Varie di caldi giovani contese,
Sorge dal foro, e per cenar s’avvia,
Dell’onde usciro i sospirati avanzi.

Ecco, noi ci ritroviamo appesi al fico, che è selvatico, di “movimento”, insomma. Ma è anche frondoso, perché ci vuole un grande progetto. E le foglie sono ampie e ospitali. Ed è collocato in alto, il fico, e ci consente una visuale aperta e uno sguardo sul futuro. È un fico di sospensione. Che sospende il flusso, che sottrae al vortice.

Al fico ci si appende, va bene. Però poi viene il momento di buttarsi, di radunare le forze e riunire le energie, senza fermarsi alle premesse (che per altro non ci sono) e senza titubare oltre. Un legno lo troveremo anche noi per tornare a navigare:

Le braccia apersi allora, e mi lasciai
Giù piombar con gran tonfo all’onde in mezzo,
Non lunge da que’ legni; a cui m’assisi
Di sopra, e delle man remi io mi feci.

Tuffiamoci, allora. Facendo politica, non buttandola via. Riprendendo il percorso, senza avere paura dei rischi che comporta, delle avventure che ci riserverà. Ripartiamo dagli errori, dalle occasioni perdute, dagli “avanzi della nave” che è precipitata nel gorgo e non trova modo di uscirne. Facciamo tesoro di ciò che non è successo e proviamo a ripartire. Insieme.

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