Ieri il Presidente emerito della Corte costituzionale De Siervo, uno degli innumerevoli candidati alla presidenza della Repubblica, è intervenuto sulle riforme costituzionali, dicendo cose molto ragionevoli e sulle quali da molto tempo cerchiamo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, del Parlamento e del Governo.

La critica è anzitutto sul metodo: troppa fretta. Che notoriamente fa fare pasticci. E ne abbiamo già fatti… perché abbiamo reinserito (dopo che la Commissione affari costituzionali li aveva eliminati), ad esempio, cinque senatori nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica, che non rappresentano niente e nessuno: né la nazione né le istituzioni territoriali.

Ma la fretta sta anche trasformando quest’aula in un votificio, in cui non si può discutere perché abbiamo contingentato i tempi e nessuno può più parlare o quasi (questa mattina è sceso un po’ di buon senso sulla gestione dell’aula, dopo le prove di forze degli ultimi giorni, ma la questione c’è e rimane tale). Non credo che così stiamo rappresentando adeguatamente i cittadini. Anzi, stiamo dando loro un deprimente spettacolo. Non rispettiamo certo quel metodo costituzionale che invece ebbe fortuna alla Costituente.

Ma De Siervo avanza anche critiche di merito, facendo «due esempi concreti (fra i molti che sarebbero possibili)».

Il primo concerne il fatto che – contrariamente a quanto si è detto per giustificare questa riforma – «non appare affatto probabile che possa diminuire l’attuale pesante contenzioso fra Stato e Regioni malgrado l’enorme espansione dei poteri legislativi dello Stato che ci si ripromette, dal momento che la tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, appare largamente imprecisa ed incompleta.

Contemporaneamente i poteri legislativi del nuovo Senato sono così confusamente (ed insufficientemente) configurati, che ne potrebbero derivare dubbi di legittimità costituzionale su molte leggi statali approvate con l’uno o con l’altro procedimento previsto nel progetto di revisione costituzionale (se ne possono distinguere sette od otto)».

Ecco, è quanto diciamo da mesi, prima Tocci, Campanella e Chiti al Senato, poi io alla Camera. È per questo che, dopo avere presentato un mio progetto di legge di revisione costituzionale che rispondeva anche a queste obiezioni, avevo presentato emendamenti sia sul riparto di competenze Stato-Regioni (perché l’eliminazione della competenza concorrente non serve a nulla, anzi…) sia sul procedimento e sulle competenze legislative del Senato, che – detto per inciso – per esercitarle dovrebbe essere ben più autorevole e legittimato (dai cittadini).

Il secondo esempio, riguarda il fatto che mentre per le Regioni ordinarie la riforma riduce molto i poteri, per quelle speciali li lascia intatti, con la conseguenza che «trattamento così manifestamente diseguale non solo produrrebbe nuove disfunzionalità legislative ed amministrative, ma susciterebbe naturalmente pesanti polemiche politiche».

In realtà, poi De Siervo, muove incidentalmente anche altre critiche, come quella alla necessità di eleggere il Presidente della Repubblica con almeno il tre quinti. Ma niente di tutto questo pare importare né alla maggioranza né al Governo. Sono solo preoccupati di votare, andare veloci e finire. Senza nessuna attenzione per ciò che si decide. Purché si cambi. Anche in peggio.

Che importa? In fondo si tratta solo della Costituzione…

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