Adelphi pubblica uno strepitoso libriccino – nella collana “Microgrammi” – di David Quammen. Titolo: Perché non eravamo pronti.

Il libro è prezioso soprattutto per una conversazione tra Quammen e Ali Khan, autorità in materia fin dal 2006.

«Perché la maggior parte dei paesi – e in particolare modo gli Stati Uniti – era così impreparata? Per una mancanza di informazione scientifica, o di soldi?», chiede Quammen. Ali Khan risponde: «Per una mancanza di immaginazione».

Eppure c’erano stati numerosi precedenti e recentissimi segnali d’allarme.

Eppure nemmeno quando arrivò la prima sequenza genomica, il 10 gennaio 2020, dalla Cina, si intervenne con prontezza. Negli Stati Uniti analoga documentata informazione si ebbe il 22 gennaio.

«Ogni giorno dopo il 22 gennaio è stato un giorno perso… dal governo degli Stati Uniti», mi ha detto Khan. Avremmo potuto rivolgerci alla Becton Dickinson (una delle più grandi aziende di tecnologia medica) e dire ai suoi capi che ci servivano i mezzi per condurre test su scala nazionale entro il lunedì seguente, ha detto. Non lo abbiamo fatto. Perché? Per mancanza di immaginazione.

Khan in The Next Pandemic aggiunge una cosa importante:

«È giunto il momento per noi di smetterla di considerare la sanità pubblica come un martelletto di sicurezza, con sotto la scritta: in caso di emergenza rompere il vetro. Dobbiamo investire nelle misure di prevenzione […] per rafforzare le nostre comunità contro questo incubo».

Lo avremo capito? Avremo capito cosa significa prevenire e investire a lungo termine? Evitando ciò che ci mette a rischio, anche se non immediatamente? Vale per i coronavirus, vale per il clima. O ci appallottoleremo come fa il pangolino, al centro dello studio di Quammen?

Temo che quando finalmente lo capiremo sarà troppo tardi.

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