«Le veline di Palazzo dicono che Italia Viva “tiene in ostaggio il Recovery plan”. Santa pazienza! Ribadiamolo: il Recovery plan non ci è stato ancora consegnato, non c’è. Lo abbiamo chiesto in Aula il 22 luglio 2020, dice che forse lo inviano domani. Altro che ostaggio! #Escilo». Lo scrive Matteo Renzi su Twitter.

Come abbiamo visto è una coalizione a ripetere. Le parole sono le stesse di un anno fa. Come se la stagione del Covid fosse stata una lunga parentesi tra un rimpasto e l’altro. La battuta del titolo è di Marco Tiberi ed è amara, amarissima.

Avremmo dovuto fare presto e bene. Siamo in vergognoso ritardo per ragioni tattiche, di posizionamento, dell’eterno «sì, tutto bellissimo, ma io che ci guadagno?».

Il profilo imbarazzante di alcuni esponenti, le millemila task force, i commissari commissariati, i piani (Colao, where have you gone?), le mezze misure, i lockdown fuzzy, un po’ sì, un po’ no, tanto ci sono le gabole.

E mentre celebrano il più lungo rimpasto che si ricordi fin dal neolitico, leggete chi qualcosa ha pensato e scritto e documentato in questi mesi. Qualcosa che risponda anche alla domanda del cinico: «Sì, bravo, ma qual è l’alternativa?», come se di alternative non ve ne fossero sempre (e la sinistra stessa, in fondo, non fosse un’alternativa).

Se cercate dell’altro, prendete per esempio, Davide Serafin, che ha raccolto e ordinato le linee di un recovery fund possibile, riprendendo per altro un documento che Possibile aveva chiamato Fase 3 e che ha ormai 8 (otto) mesi.

Perché sì, dobbiamo uscire. Da una fase terribile, da una politica che non è all’altezza nei tempi normali, figuriamoci in quelli straordinari. E si esce parlando di futuro. Avete notato che l’unico che lo fa è il Presidente Sempresialodato? Che dice addirittura: «il futuro è un dovere morale». Ecco.

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