Tamponi e tecnologia: ecco perché questi sessanta giorni potevano essere spesi più utilmente, mentre eravamo barricati in casa.

Il Veneto dice che riapre tutto. E speriamo che gli spostamenti non portino contagi, ma come ieri mi trovo ancora nella casella ottimismo. Ottimismo della ragione, s’intende e tutt’altro che acritico, come invece vedo essere il mood di molti commenti. Come se fosse più importante il colore della propria bandiera rispetto alla soluzione del problema gigantesco che ci tocca affrontare. Tipico vizio italiano. Nel paese dell’impolitica, i pochi appassionati sono, soprattutto, tifosi. E, quindi, inconsapevolmente impolitici.

Molti nodi rimangono incerti, a cominciare dalla sicurezza sul lavoro (la più importante, a proposito di sicurezza) e dalla cura dei piccoli e dalla loro formazione. Della prima questione, tratta Tempi moderni. Della seconda spero ci occuperemo tutti quanti, quanto prima, perché è già molto tardi.

Domani a mezzogiorno l’ormai tradizionale domenica in diretta con Andrea Pennacchi, «sull’orlo del baratro» del 4 maggio, abbiamo scherzato. «Magari fosse un bar, il baratro», ha chiosato l’ineffabile Pojana. Magari lo fosse, sì.

Con lui abbiamo parlato di riaprire la cultura, che per sua natura non può chiudere. Cultura è apertura, appunto.

La soluzione che propone il bardo di Brusegana è semplice: uno spazio in ogni città che ogni Comune attrezza (fin d’ora, non a Natale), mettendolo a disposizione degli artisti. All’aperto, facendo rispettare le distanze e curandosi della sicurezza. Non servono miliardi di euro. E potrebbero tornare a lavorare, in sicurezza, a partire dalla seconda metà di giugno, stando alle previsioni, centinaia di compagnie e di professionisti della cultura. Dal vivo, letteralmente.

Con People ci siamo detti che rispolvereremo il pulmino elettrico e gireremo a presentare i nostri libri, toccando le città dei nostri autori, prima di tutto, in un raggio che si allargherà secondo le indicazioni delle nostre istituzioni. Le date le stabiliremo più avanti, ma cerchiamo di preparare prima ciò che dovremo fare dopo. L’idea rimbalza da Castelfranco Veneto, dove c’è una libraia che tutti dovreste conoscere – in un settore, peraltro, devastato dai conflitti di interessi e dalla speculazione.

Detto questo, come per l’editoria, si torna al punto di partenza. Dove eravamo rimasti? Perché le cose da cambiare prima del virus sono a maggior ragione da cambiare durante e speriamo dopo il virus. Disuguaglianze, progressività, rivoluzione fiscale, clima e energia, accesso ai servizi, tecnologia: di questo e della fase 3 continueremo a parlare. Troveremo il modo di farlo pubblicamente, appena possibile.

Se avete tempo, leggete qui.

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