È tutto un fase vobis. Tra cinciallegri e sociopatici, secondo le categorie di Zerocalcare, vincono i cinciallegri.

E qui tutti riaprono, senza nemmeno ammetterlo. Carbonari della riapertura, per rimanere nella metafora risorgimentale di cui abbiamo già abusato. Organizzatori di moti.

Che poi chi lavora da casa, come me, continuerà a farlo. Quindi a casa per sempre. Vi ho voluto bene.

Fuori è già “quattro maggio”, nell’espressione napoletana che Valeria Parrella ha avuto la gentilezza di spiegarmi.

«E che d’è tutto ’stu quatto ’e Maggio?». Giorno di traslochi fin dal Seicento, di sfratti e di cambiamenti di casa e di negozio. ’O pesone, la pigione, allora come oggi, era la questione. Il trambusto logicamente conseguente.

«Facimm amuchina», potremmo dire, tornando ai primi giorni di questa storia (era il 23 febbraio, un secolo fa).

E speriamo che non sia convulso, il nostro uscire. E che la saggezza che ci ha accompagnato in queste settimane (sorprendendoci!), non ci abbandoni. Soprattutto in alcune regioni – giusto ieri i medici piemontesi mettevano in allarme le istituzioni, rispetto al pericolo di un altro e peggiore picco. Soprattutto in alcune situazioni, lavorative e sanitarie.

Non c’è bisogno di fare tutto subito e tutto insieme, che è bastato dire che si poteva andare a prendere la pizza che tutti come d’incanto hanno smesso di farla in casa per precipitarsi al banco del take away.

Centellinare le cose sarà molto responsabile e forse stupefacente. Ci vorrà ancora parecchio stoicismo. A poco a poco, quindi, un passo dopo l’altro, anche per allontanare lo spettro di una seconda, tragica chiusura.

Sì diceva all’inizio di questa storia assurda che avremmo imparato molte cose dalla quarantena. Non sembra sia andata esattamente così. Speriamo almeno di aver imparato come fare per non tornare in quarantena.

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