«Sto Ichnusa in casa», la migliore di oggi è emersa durante la diretta con Andrea Pennacchi, che è Pojana e molto altro ancora (per gli appassionati: ci rivediamo a Pasquetta, in diretta).

L’accusa da parte mia nei suoi confronti è precisa: questa è una distopia voluta dal Pojana. Cinghiali dappertutto, tutti chiusi in casa a bere goti e mona più che monatti in ogni dove. Anche lo scontro quotidiano sulle mascherine appartiene al genere “avete rotto il cazzo”, sia detto con il dovuto rispetto della distanza. E va notato, a proposito di distanze siderali, che alcuni amministratori stanno cercando di allontanarsi di un anno luce dai cittadini e in questo senza dubbio ce la stanno facendo.

È la società solida, non è un caso che tutti chiedano – giustamente – liquidità. Se ne sentono di ogni: 1000 euro a testa, redditi di tutti i tipi, fatturati garantiti. La verità è che si deve sbloccare l’Europa, alla svelta. Anzi, lo avrebbe già dovuto fare. Altrimenti sono guai.

Nel frattempo leggo editoriali, uno uguale all’altro, come i giorni delle nostre non-settimane, in cui ci spiegano che nulla sarà come prima.

A me paiono tutte stronzate sesquipedali. Per due ragioni.

Ci siamo abituati in tre settimane a stare in casa come se fosse normale e ci abitueremo anche a uscirne. Scommetto una pizza, quando finalmente potremo tornare a mangiarla insieme.

La prima ragione è, quindi, positiva. La seconda ragione è, invece dolorosa.

Pare che i commentatori scoprano soltanto ora la sorveglianza sul lavoro, il controllo dei dati, la concentrazione di potere, le disuguaglianze, le oscenità di un sistema che non garantisce il benessere a un mondo di persone. Tranne loro, forse.

Lo scrivevo all’inizio della quarantena: «Non dobbiamo tornare alla normalità, perché in quella normalità non c’è proprio niente di normale». Lo confermo ora.

Il virus è solo uno specchio ingranditore di tutti i nostri limiti, difetti, guasti. Non fa che aggravare cose che non funzionavano da… mai. E che ora, ovviamente, peggiorano.

Ci vogliono progressività, una tassazione che si sposta dal lavoro alla rendita, investimenti in scuola, ricerca e – bella scoperta – in sanità. Pubblica. Ci vuole una tecnologia a fini sociali, non solo per far fare i soldi a chissà chi. Ci vuole qualcosa che non c’era e ovviamente non c’è.

E sì, prendiamocela con le multinazionali, certo. E anche con gli alieni. Però non dimentichiamo gli ultranazionali esponenti di un capitalismo avido e miope, alleato dei politici peggiori, che banalizza da sempre la questione del bene comune, di un patto sociale da mantenere, di un mercato regolato (e non dalla logica dell’amicodegliamici, della lobby, delle concentrazioni).

Quel virus c’era da prima. E ha purtroppo fatto il salto di specie, dalla destra alla sinistra, decenni fa. Chi ne è immune? Quasi nessuno.

La scienza da sola non basta, dice il genio. Ci vuole la politica, infatti.

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